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Di lingue e dialetti
Thread poster: Arturo Mannino
Arturo Mannino
Arturo Mannino  Identity Verified
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Classificazioni Oct 27, 2004

Grazie a Valentina per aver rispolverato la classificazione degli idiomi peninsulari fatta dai dialettologi italiani. Volevo appunto ribadire che tali illustri personaggi sono praticamente gli unici a considerare siciliano, friulano, ecc. quali dialetti dell'italiano. Per ragioni eminentemente culturali, a mio vedere. E, una volta consideratili dialetti, si sbizarriscono a classificarli in vari modi, di cui quello riportato da Valentina è uno dei più noti. D'altra parte, talvolta anche i lingu... See more
Grazie a Valentina per aver rispolverato la classificazione degli idiomi peninsulari fatta dai dialettologi italiani. Volevo appunto ribadire che tali illustri personaggi sono praticamente gli unici a considerare siciliano, friulano, ecc. quali dialetti dell'italiano. Per ragioni eminentemente culturali, a mio vedere. E, una volta consideratili dialetti, si sbizarriscono a classificarli in vari modi, di cui quello riportato da Valentina è uno dei più noti. D'altra parte, talvolta anche i linguisti stranieri propongono soluzioni "strane": ricordo in particolare di aver letto un'opinione secondo la quale tutte le parlate del sud d'Italia sarebbero dialetti del siciliano (il linguista, di cui non ricordo il nome, era straniero, sì, ma non siciliano).
Quando parliamo di lingue e dialetti, comunque, non dobbiamo dimenticare un concetto linguistico fondamentale, che ho scoperto pochi giorni fa e che vi giro con la passione del neofita: esiste una cosa chiamata "continuum dialettale", che consiste in una sorta di linea di comprensione reciproca tra i parlanti di lingue di una stessa famiglia geograficamente contigue. Ad esempio, all'interno della famiglia romanica o neolatina, i siciliani comprendono i calabresi, che comprendono i napoletani, che comprendono i romani, che comprendono i toscani, che comprendono (forse) i genovesi, che comprendono i piemontesi, che comprendono i catalani, che comprendono (a volte) i portoghesi. Come si vede, il continuum dialettale è un concetto che, basato sulla comprensione reciproca e sugli elementi comuni a determinate coppie di parlate, prescinde dalla lingue in senso stretto, estendendosi a lingue diverse all'interno di una stessa famiglia. Naturalmente le cose sono complicate da linee spezzate, isole linguistiche e chi più ne ha più ne metta.
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Maria Antonietta Ricagno
Maria Antonietta Ricagno  Identity Verified
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continuum linguistico Oct 29, 2004

è vero che esiste il continuum, ma è la stessa cosa che succede con le lingue standard: italiano>spagnolo>francese e viceversa ad esempio.
Un messaggio per tutti: Maria Antonietta è il mio nome 'ufficiale', ma sono sempre stata Antonella - Anto per tutti (Antò solo per mio fratello).

un saluto a tutti.

'Ni sintìmu!' (= alla prossima!)

Anto


 
Gaetano Silvestri Campagnano
Gaetano Silvestri Campagnano  Identity Verified
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Fasce di transizione Oct 29, 2004

Concordo perfettamente con quanto affermato da Arturo e Maria Antonietta sulla continuità che esiste fra le espressioni linguistiche geograficamente contigue, sia in scala più piccola, per i dialetti, che in scala più ampia, per le lingue più o meno standard (anche se appunto, come è stato ampiamente discusso in questo forum, la distinzione tra lingue e dialetti non è mai così netta e perentoria, ma si basa su aspetti estremamente complessi).

Il concetto di continuità è inf
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Concordo perfettamente con quanto affermato da Arturo e Maria Antonietta sulla continuità che esiste fra le espressioni linguistiche geograficamente contigue, sia in scala più piccola, per i dialetti, che in scala più ampia, per le lingue più o meno standard (anche se appunto, come è stato ampiamente discusso in questo forum, la distinzione tra lingue e dialetti non è mai così netta e perentoria, ma si basa su aspetti estremamente complessi).

Il concetto di continuità è infatti alla base della nota teoria delle "fasce di transizione", che costituisce una delle tendenze più recenti della linguistica romanza, ed è stata applicata per la prima volta proprio alla famiglia delle lingue neolatine, che sono state citate come esempio in questo thread.

In pratica, non esisterebbero confini netti né tra i dialetti né tra le lingue, ma è come se ciascuna espressione linguistica sfumasse gradualmente nell'altra, come avviene con le tonalità dei colori. E infatti questo concetto viene reso molto efficacemente dagli atlanti linguistici in cui la rappresentazione dei diversi idiomi avviene attraverso un'ampia scala di colori.

Nel caso specifico delle lingue neolatine, ogni lingua sfocia nell'altra attraverso i dialetti contigui: vedi ad esempio i dialetti francesi e italiani al di qua e al di là delle Alpi, e svariati altri esempi simili. Non solo, ma vi sono persino lingue che rappresentano le fasce di transizione tra un sottogruppo e l'altro della stessa famiglia.

Ad esempio, escludendo il sardo e il rumeno, che, essendo aree linguistiche isolate, fanno eccezione alla teoria della continuità (e formano gruppi a sé), consideriamo, in un'area geografica continua della famiglia romanza i tre gruppi dell'italoromanzo (italiano e ladino), del galloromanzo (francese, franco-provenzale e provenzale) e dell'iberoromanzo (spagnolo [cioè castigliano], catalano, gallego e portoghese).

Quindi, andando da Est a Ovest, il provenzale (Francia meridionale), il franco-provenzale (Val d'Aosta), e per molti aspetti, anche il ladino (Alpi Retiche), rappresentano in quest'area, la fascia di transizione tra il gruppo italoromanzo e quello galloromanzo, collegando in pratica l'italiano al francese. Inoltre, andando sempre verso Ovest, lo stesso provenzale e il catalano costituiscono la fascia di transizione tra il gruppo galloromanzo e quello iberoromanzo, facendo da ponte tra il francese e lo spagnolo.

Chiedo scusa ai meno interessati alla linguistica se sarò sembrato noioso ed ai più esperti se sarò apparso troppo semplicistico, ma non ho potuto frenare il grande interesse suscitato in me dal tema del forum. E sono davvero grato ad Arturo per aver aperto questa discussione, che mi ha anche riportato ai bei tempi dell'università e della tesi in glottologia (sulla lingua sarda dell'età nuragica), una materia per la quale mi è sempre rimasta una grandissima passione.

Ciao a tutti,

Rainulf


[Edited at 2004-10-29 11:48]

[Edited at 2004-10-29 11:49]

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[Edited at 2004-10-29 12:04]

[Edited at 2004-10-29 12:06]
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Sabina Moscatelli
Sabina Moscatelli
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Rainulf Oct 29, 2004

la tua spiegazione è chiarissima. A riprova di essa, possiamo anche citare le grandi rotazioni consonantiche che hanno interessato le nostre lingue. L'effetto delle rotazioni è stato quello di una pietra lanciata in uno stagno: fortissimo impatto sulla lingua germanica, ad esempio, che va poi smorzandosi nelle lingue contigue, nelle quali sono presenti solo alcune delle caratteristiche che connotavano la grande rotazione.

Anche per me gli esami di glottologia, filologia e storia d
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la tua spiegazione è chiarissima. A riprova di essa, possiamo anche citare le grandi rotazioni consonantiche che hanno interessato le nostre lingue. L'effetto delle rotazioni è stato quello di una pietra lanciata in uno stagno: fortissimo impatto sulla lingua germanica, ad esempio, che va poi smorzandosi nelle lingue contigue, nelle quali sono presenti solo alcune delle caratteristiche che connotavano la grande rotazione.

Anche per me gli esami di glottologia, filologia e storia della lingua sono stati i migliori. Non mi è parso vero, quest'anno, poterli riprendere in mano. E vi dirò di più: io insegno inglese e ne parlo spesso ai miei ragazzi a scuola. Qua e là faccio cadere qualche nozione (i toponimi in -chester che derivano da -castra, per esempio). L'entusiasmo è totale)
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theDsaint
theDsaint
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una lingua basta a comunicare, un dialetto no Oct 29, 2004

non ho mai studiato queste cose, perciò mi mancano tutte le teorie che ho letto qui, ma io ho una mia personalissima teoria che è sintetizzata nel titolo. mi spiego meglio.
da quando sono nata fino ad ora sento i membri della mia famiglia parlare dialetto milanese, tutti in paese se hanno almeno 40 parlano dialetto, quindi la mia esperienza si basa su quel che vedo e sento.
secondo me una lingua è sufficiente ai parlanti, un dialetto no. in pratica: un milanese che sappia l'italia
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non ho mai studiato queste cose, perciò mi mancano tutte le teorie che ho letto qui, ma io ho una mia personalissima teoria che è sintetizzata nel titolo. mi spiego meglio.
da quando sono nata fino ad ora sento i membri della mia famiglia parlare dialetto milanese, tutti in paese se hanno almeno 40 parlano dialetto, quindi la mia esperienza si basa su quel che vedo e sento.
secondo me una lingua è sufficiente ai parlanti, un dialetto no. in pratica: un milanese che sappia l'italiano è a posto perché l'italiano è una lingua e come tale ricopre tutti i campi della vita, cioè tutte le esperienze di chi parla questa lingua, il dialetto invece si limita ad un piccolo mondo; se ci fate caso, in dialetto si parla tranquillamente di lavoro, di famiglia, degli eventi successi nelle vicinanze, della vita quotidiana e semplice di un tempo. così, se il nostro ipotetico milanese dovesse parare del carattere ribelle delle figlia potrebe tranquillamente usare il dialetto, ma non penso potrebbe parlare in milanese di quello che ha fatto con il commercialista per pagare le tasse, mancano troppe parole in dialetto e perciò è costretto a ricorre all'italiano.
questo ragionamento secondo ma vale in tutto il mondo: la tribù X che vive in africa ha una propria lingua e non un proprio dialetto perché tutto gli aspetti della loro vita e della loro esperienza possono essere tranquillamente discussi con la loro lingua (anche perché il loro modo di vita non è cambiato molto; invece il dialetto milanese può sì coniare un neologismo come «telefunein» per «cellulare», ma non può dire «partita iva» in dialetto, quindi il nostro milanese dovrà usare l'italiano).
spero di essere stata chiara.
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Arturo Mannino
Arturo Mannino  Identity Verified
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Comunicazione e altri mostri Oct 29, 2004

A proposito dell'idoneità di una lingua alla comunicazione, l'idea che certe parlate o dialetti non siano di per sé sufficienti a comunicare determinati aspetti dell'esperienza umana fu tolta di mezzo già da Ferdinad de Saussurre, agli albori della linguistica moderna. Intendiamoci: chiunque, basandosi sulla propria esperienza personale, potrebbe essere tentato di affermare che il dialetto è tale perché in dialetto non si riesce a comunicare tutto; ma questo, come ho già detto in un interv... See more
A proposito dell'idoneità di una lingua alla comunicazione, l'idea che certe parlate o dialetti non siano di per sé sufficienti a comunicare determinati aspetti dell'esperienza umana fu tolta di mezzo già da Ferdinad de Saussurre, agli albori della linguistica moderna. Intendiamoci: chiunque, basandosi sulla propria esperienza personale, potrebbe essere tentato di affermare che il dialetto è tale perché in dialetto non si riesce a comunicare tutto; ma questo, come ho già detto in un intervento precedente, secondo me è confondere il sintomo con la causa. Bisognerebbe fare un ulteriore passo e chiedersi due cose:
1. Comunicare cosa?
2. Se non si riesce a comunicare qualcosa in "dialetto", perché avviene ciò?
Quanto al primo punto, mi sembra evidente che ogni lingua o "dialetto" si adatta perfettamente alle esigenze di comunicazione di una determinata comunità. In questo senso non mi sembra corretto fare distinzioni sulla qualità di una parlata basandosi sugli ambiti dello scibile che essa è in grado di esprimere. Molti di noi parlano una lingua regionale e sanno che ci sono determinate cose che è possibile esprimere solo in milanese, siciliano, veneziano, eccetera. Significa forse che queste lingue regionali hanno uno status più autorevole dell'italiano? No, significa solo che ci sono ancora ambiti in cui l'italiano, come veicolo della comunicazione, è insufficiente. Semmai dovremmo interrogarci sull'estensione dell'ambito comunicativo, e qui veniamo direttamente al secondo punto:
Perché a volte non riusciamo ad esprimere certe cose in "dialetto"? Secondo la mia modesta e dilettantesca opinione, perché la pressione culturale dell'italiano è così forte che ha fatto sì che le lingue regionali, da un lato, abbandonassero progressivamente ambiti comunicativi per i quali in passato erano più che sufficienti e, dall'altro, non osassero avventurarsi nei nuovi ambiti di comunicazione generati dal progresso scientifico (cosa che, d'altra parte, spesso e volentieri non fa neppure l'italiano). E comunque, theDsaint, e sia detto senza animo di far polemica, dato che il milanese è, delle lingue regionali, probabilmente quella che più fortemente subisce la pressione culturale dell'italiano, non mi meraviglia affatto che in milanese non sia possibile esprimere che cosa si sia fatto con il commercialista per pagare le tasse, cosa che invece sarebbe perfettamente possibile in siciliano e in napoletano, tanto per fare degli esempi. Dovremmo insomma distinguere anche tra i vari livelli di vitalità delle lingue, ossia della loro capacità di reinventarsi per raggiungere nuovi ambiti della comunicazione umana. Faccio un esempio che non ha nessuna pretesa di scientificità (più di un famoso linguista del passato si rivolterebbe nella tomba se lo leggesse). Prendiamo una frasetta in inglese e, visto che siamo tra colleghi, traduciamola in un paio di lingue:

You can download the latest scanner drivers here.

Italiano: Scaricare gli ultimi driver dello scanner qui
Tedesco: Hier können Sie die letzten Scanner-Treiber herunterladen
Francese: Vous pouvez télécharger les derniers pilotes d'imprimante ici

Per tradurre una frasetta, l'italiano ha preso a prestito due parole dall'inglese, il tedesco una, mentre il francese se l'è cavata in francese.

Se la vitalità di una lingua si potesse misurare con esempi del genere, in una scala da 1 a 10 l'italiano si beccherebbe un 3 e il tedesco un 5, mentre il francese sarebbe promosso primo della classe (grazie alla politica linguistica del governo di Parigi).

Tornando a bomba, temo che in questa empiricissima scala dela vitalità il milanese si beccherebbe un 2, mentre i "dialetti" del sud probabilmente raggiungerebbero la sufficienza.
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Sabina Moscatelli
Sabina Moscatelli
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Bravo Arturo. Nov 1, 2004

Questo è il punto. Il dialetto non dispone - apparentemente - degli strumenti che consentono di esprimersi su campi *altri* semplicemente perché non gli è dato modo di ampliare il proprio patrimonio lessicale mediante i meccanismi che le lingue abitualmente utilizzano a tal fine. E questo perché è minoritario, ormai quasi in estinzione, almeno in talune aree geografiche.

E' un po' come il latino: certo che in latino non esiste la parola computer (ma se pensi all'etimologia di f
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Questo è il punto. Il dialetto non dispone - apparentemente - degli strumenti che consentono di esprimersi su campi *altri* semplicemente perché non gli è dato modo di ampliare il proprio patrimonio lessicale mediante i meccanismi che le lingue abitualmente utilizzano a tal fine. E questo perché è minoritario, ormai quasi in estinzione, almeno in talune aree geografiche.

E' un po' come il latino: certo che in latino non esiste la parola computer (ma se pensi all'etimologia di frigorifero, hai frigor = freddo; fero = io porto -->Io porto il freddo), ma solo perché la lingua non è più viva. Se lo fosse, troverebbe il modo di parlare di tutti i campi del sapere.
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Arturo Mannino
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Tratto da Claude Hagège, Morte e rinascita delle lingue, Milano 2002 Nov 1, 2004

"Una lingua in buona salute è valorizzata volentieri dai suoi parlanti, che la trovano bella, ricca, precisa proprio per il fatto che, conoscendola meglio di qualsiasi altra (a meno che non siano perfetti bilingui) sono veramente a propro agio solo quando si esprimono in quella lingua. Gli utenti sollecitati da un'altra lingua, invece, smettono di valorizzare la propria e cominciano persino a provare vergogna, cosa che li porta a disamorarsene ulteriormente. Sono tormentati da una sorta di ansi... See more
"Una lingua in buona salute è valorizzata volentieri dai suoi parlanti, che la trovano bella, ricca, precisa proprio per il fatto che, conoscendola meglio di qualsiasi altra (a meno che non siano perfetti bilingui) sono veramente a propro agio solo quando si esprimono in quella lingua. Gli utenti sollecitati da un'altra lingua, invece, smettono di valorizzare la propria e cominciano persino a provare vergogna, cosa che li porta a disamorarsene ulteriormente. Sono tormentati da una sorta di ansia all'idea di usare ancora una lingua che ha perso ogni attrativa, tanto da diventare il centro di ogni associazione negativa, di cui fanno fatica a liberarsi. In particolare si persuadono che quella lingua non sia adatta a esprimere la modernità e non sia in grado di esprimere le idee astratte, senza sapere evidentemente che qualsiasi lingua ha questo potere, purché ci si prenda la briga di creare dei neologismi".

Meditiamo, gente, meditiamo...
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