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Povera lingua o povero me?
Thread poster: Arturo Mannino
Arturo Mannino
Arturo Mannino  Identity Verified
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Aug 7, 2005

Mi capita sempre più spesso di dover correggere traduzioni che contengono quello che, secondo me, è un errore: "dietro al", "sotto al" e simili. Che io sappia, alcune lingue locali come il siciliano e il napoletano usano questa struttura, ma credo di sapere che in itaiano si dice "dietro il" e "sotto il". Purtroppo però, l'errore è così frequente che comincio a dubitare che sia tale. Vivo all'estero da 12 anni, e magari in tutto questo tempo la lingua si è evoluta fino ad accettare certe s... See more
Mi capita sempre più spesso di dover correggere traduzioni che contengono quello che, secondo me, è un errore: "dietro al", "sotto al" e simili. Che io sappia, alcune lingue locali come il siciliano e il napoletano usano questa struttura, ma credo di sapere che in itaiano si dice "dietro il" e "sotto il". Purtroppo però, l'errore è così frequente che comincio a dubitare che sia tale. Vivo all'estero da 12 anni, e magari in tutto questo tempo la lingua si è evoluta fino ad accettare certe strutture. In tal caso, povero me. Ma se, come sospetto, si tratta di errori belli e buoni, allora povera lingua.Collapse


 
Monique Laville
Monique Laville  Identity Verified
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pure in Linguria Aug 7, 2005

lo sento dire spesso, come sento dire spesso "scarpe al tennis" invece di "scarpe da tennis". Ho avuto a questo proposito una accesa discussione con un'amica, che è una persona che ha studiato, e continua a dire "scarpe al tennis" . Forse che (anche questo "forse che" lo sento spesso) ho torto io, e ragione lei.

Non è diverso con il francese, che sento spesso maltrattato.

Forse in questo sito, al quale ogni qualvolta m
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lo sento dire spesso, come sento dire spesso "scarpe al tennis" invece di "scarpe da tennis". Ho avuto a questo proposito una accesa discussione con un'amica, che è una persona che ha studiato, e continua a dire "scarpe al tennis" . Forse che (anche questo "forse che" lo sento spesso) ho torto io, e ragione lei.

Non è diverso con il francese, che sento spesso maltrattato.

Forse in questo sito, al quale ogni qualvolta mi riferisco, potrai trovare una risposta:
http://www.geocities.com/giulio_zu/lessico.html
Vi ho letto qualche nome visto in proz mi pare.

Aspetto anch'io con interesse una risposta alla tua domanda.
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Giuseppina Gatta, MA (Hons)
Giuseppina Gatta, MA (Hons)
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Né povero te, né povera lingua...magari povero dizionario? ;-) Aug 7, 2005

Arturo Mannino wrote:

Mi capita sempre più spesso di dover correggere traduzioni che contengono quello che, secondo me, è un errore: "dietro al", "sotto al" e simili. Che io sappia, alcune lingue locali come il siciliano e il napoletano usano questa struttura, ma credo di sapere che in itaiano si dice "dietro il" e "sotto il". Purtroppo però, l'errore è così frequente che comincio a dubitare che sia tale. Vivo all'estero da 12 anni, e magari in tutto questo tempo la lingua si è evoluta fino ad accettare certe strutture. In tal caso, povero me. Ma se, come sospetto, si tratta di errori belli e buoni, allora povera lingua.

Ciao Arturo, copio da un vecchio Zingarelli:
"Prep.: es. stare dietro le quinte"
poi dice "anche nella loc. prep.: dietro a-, es. ti aspetto al bar dietro alla stazione

Quindi mi sembra vadano bene tutti due.

C'è sicuramente di molto peggio in giro, come gli esempi citati dalla collega e tanti altri che potrei citarti io, ad es. uno tutto tipico della mia città:

"stai attento _ancora_ cadi!"

Ciao
Giusi


 
Gaetano Silvestri Campagnano
Gaetano Silvestri Campagnano  Identity Verified
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Italiano regionale Aug 7, 2005

Queste "storpiature" dell'italiano, di cui parlano Monique e Giuseppina, in linguistica vengono definite forme di "italiano regionale". Si tratta di veri e propri "prestiti" di vocaboli dialettali utilizzati all'interno dell'italiano standard oppure di "calchi", cioè intere espressioni e costruzioni prese di peso dal dialetto e tradotte letteralmente in italiano.

In particolare, l'**ancora** citato da Giuseppina ("stai attento **ancora** cadi" = "...se no cadi") mi ha richiamato al
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Queste "storpiature" dell'italiano, di cui parlano Monique e Giuseppina, in linguistica vengono definite forme di "italiano regionale". Si tratta di veri e propri "prestiti" di vocaboli dialettali utilizzati all'interno dell'italiano standard oppure di "calchi", cioè intere espressioni e costruzioni prese di peso dal dialetto e tradotte letteralmente in italiano.

In particolare, l'**ancora** citato da Giuseppina ("stai attento **ancora** cadi" = "...se no cadi") mi ha richiamato alla mente una forma di italiano regionale quasi identica, utilizzata da un'anziana signora vicina di casa, originaria dell'Irpinia, e in particolare della parte più vicina alla Puglia. A volte, infatti, ho sentito questa signora pronunciare espressioni come "guarda meglio, **ancora** ti dimentichi qualcosa". Evidentemente, dato che questa espressione è sconosciuta al napoletano (almeno a quanto mi risulta), deve trattarsi di un'"isoglossa" (scusate la "parolaccia"), cioè di un fenomeno linguistico comune a zone geograficamente contigue o vicine, come in questo caso sono la Puglia e l'Irpinia.

Riguardo invece alla mia zona, quella di Napoli, un esempio classico di italiano regionale è il cosiddetto "accusativo della persona", cioè l'uso pleonastico della preposizione "a", in funzione di complemento di termine, davanti a un complemento oggetto espresso da un nome di persona: "ho visto a Luigi", "ho incontrato a Maria". Si tratta qui di una costruzione mutuata direttamente dallo spagnolo.

Ma l'italiano regionale si manifesta molto più ampiamente nelle forme lessicali, con vocaboli, come già accennato, presi direttamente dal dialetto. Ad esempio, nell'italiano parlato dai napoletani troviamo spesso "ceneriera" al posto di "portacenere" o "posacenere"; "guantiera" al posto di "vassoio" e "contronome" al posto di "soprannome". E forse la stanchezza dell'ora mi impedisce di ricordare le altre forme simili della parlata partenopea, ma i miei colleghi napoletani sicuramente sapranno suggerirne in abbondanza.

A volte poi avviene che il dialetto si prenda una rivincita sulla lingua nazionale e che determinate forme dialettali, già passate nell'italiano regionale, entrino addirittura a far parte dell'italiano "ufficiale". È il caso di "ramazza", "intrallazzo", "scalogna", "iella", "iettatura", "sfizio", e, ultimamente, "inciucio", anche se, per quest'ultimo termine, è avvenuto uno spostamento di significato da "pettegolezzo" a "manovra segreta, accordo sottobanco".

Ma anche qui l'elenco è sicuramente molto più lungo, e sarò grato ai colleghi che ricorderanno i molti altri vocaboli del vernacolo assurti alla dignità di parole italiane a tutti gli effetti.

Ciao a tutti,

Gaetano


[Edited at 2005-08-08 00:07]
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Elisa Comito
Elisa Comito  Identity Verified
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Due cose... Aug 8, 2005

Molto interessante il tuo post Gaetano!

Io vorrei ricordare due cose. La prima è che la lingua è comunque in continua evoluzione e che il campo lessicale è il più aperto ai cambiamenti, a differenza di quello grammaticale che è il più "conservatore". Non c'è da meravigliarsi se col tempo vocaboli regionali o stranieri vengono adottati, alcune parole entrano in cricolo e altre divengono desuete... è così da sempre per tutte le lingue. Solo le lingue morte sono fisse.
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Molto interessante il tuo post Gaetano!

Io vorrei ricordare due cose. La prima è che la lingua è comunque in continua evoluzione e che il campo lessicale è il più aperto ai cambiamenti, a differenza di quello grammaticale che è il più "conservatore". Non c'è da meravigliarsi se col tempo vocaboli regionali o stranieri vengono adottati, alcune parole entrano in cricolo e altre divengono desuete... è così da sempre per tutte le lingue. Solo le lingue morte sono fisse.

La seconda cosa è che, essendo l'italiano nato dall'elaborazione e dalla codificazione del toscano letterario, era privo dei vocaboli di molti utensili di vita quotidiana e di conseguenza per molti di questi oggetti si usano tutt'oggi i vari nomi regionali, che sono sinonimi (es. per il mestolo per prendere le minestre: mestolo, cazzuola, ramaiolo, sgommerello e chi più ne ha più ne metta).

Per quanto riguarda l'arricchimento lessicale, non voglio certo dire che il traduttore deve sentirsi legittimato a prendere di suo capriccio qualsiasi vocabolo dialettale o straniero gli salti in mente e insertirlo nel testo... ma essendo la lingua un organismo vivo chi risiede a lungo fuori dal paese può perdere contatto con i suoi cambiamenti come chi ritrova una persona dopo diversi anni: non deve stupirsi di trovarla cambiata.
Un buon traduttore secondo me deve avere la sensibiltà di capire e rispettare quella che è l'evoluzione naturale della lingua (che deve comunque essere in armonia con le sue caratteristiche strutturali ed "estetiche") e rifiutare invece gli sfregi che la offendono, la involgariscono o la appiattiscono.
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Monique Laville
Monique Laville  Identity Verified
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Grazie Gaetano Aug 8, 2005

per questa interessante spiegazione.

Che dire di questa frase, letta questa mattina in un quotidiano, che non è regionale (La Repubblica):
"La lunga estate della specie umana ha avuto inizio 15 mila anni fa, durante l'Olocene. Nessuno sa come si evolverà"?

E' corretto scrivere "Nessuno sa come si evolverà" o bisognerebbe invece scrivere "Nessuno sa come evolverà".

Buona giornata a tutti.


 
Gaetano Silvestri Campagnano
Gaetano Silvestri Campagnano  Identity Verified
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"Evolvere" e "evolversi" Aug 8, 2005

Monique Laville wrote:


Che dire di questa frase, letta questa mattina in un quotidiano, che non è regionale (La Repubblica):
"La lunga estate della specie umana ha avuto inizio 15 mila anni fa, durante l'Olocene. Nessuno sa come si evolverà"?

E' corretto scrivere "Nessuno sa come si evolverà" o bisognerebbe invece scrivere "Nessuno sa come evolverà".

[...]

[/quote]

Ciao Monique

In italiano è corretto dire sia "evolvere" che "evolversi", anzi quest'ultimo uso riflessivo è più diffuso ed è associato in primo luogo al significato più comune del termine, quello che riguarda l'evoluzione di una specie o di una qualsiasi entità in senso scientifico. "Evolvere" senza riflessivo, invece, viene in genere utilizzato in senso più generico, come sinonimo di "svilupparsi", "trasformarsi" o "maturare", vedi ad esempio frasi come "la situazione sta evolvendo in modo imprevisto / in modo spiacevole", utilizzate per indicare che determinati eventi stanno prendendo una piega inaspettata o una brutta piega.

In secondo luogo, "evolversi", assume per traslato anche il significato appena descritto: "osserverò l'evolversi della situazione", "sono curioso di scoprire come si evolveranno le cose", mentre "evolvere", al contrario, è utilizzato molto più raramente nel senso scientifico indicato in precedenza.

Ciao,



[Edited at 2005-08-08 19:37]


 
Arturo Mannino
Arturo Mannino  Identity Verified
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Ecologisti della lingua Aug 8, 2005

Monique grazie per il link (o collegamento): è molto interessante. Quanto al resto, credo che a tutti sia chiaro come in Italia si dia un fenomeno linguistico che credo poco comune, ovvero la presenza di vari livelli linguistici che vanno dalla lingua locale (siciliano o veneto, tanto per fare un paio di esempi) all'italiano standard (ammesso che non sia una chimera) passando attraverso uno o più strati di italiano regionale che costituiscono il punto d'incontro, e talvolta scontro, delle ling... See more
Monique grazie per il link (o collegamento): è molto interessante. Quanto al resto, credo che a tutti sia chiaro come in Italia si dia un fenomeno linguistico che credo poco comune, ovvero la presenza di vari livelli linguistici che vanno dalla lingua locale (siciliano o veneto, tanto per fare un paio di esempi) all'italiano standard (ammesso che non sia una chimera) passando attraverso uno o più strati di italiano regionale che costituiscono il punto d'incontro, e talvolta scontro, delle lingue locali con l'italiano standard.
Ovviamente, quello che per una determinata epoca può essere un regionalismo, per un'epoca successiva può essere ormai entrato a far parte del patrimonio linguistico nazionale. Nel XIX secolo, dire mafia quando si parlava italiano era considerato di cattivo gusto: il termine italiano era maffia, con due effe. Oggigiorno nessuno si sognerebbe di dire maffia.
Detto questo, ritengo che l'italiano regionale non sia il registro adeguato alla traduzione, mettiamo, del manuale di un modem. Eppure è incredibile la quantità di colleghi che si fregiano del titolo di traduttori quando il linguaggio che usano denota la loro scarsissima padronanza della lingua. Non mi sognarei mai di pretendere dal macellaio dell'angolo o dal politico di turno l'uso di un linguaggio aulico, curiale e cardinale; ma credo che si possa pretendere da un traduttore che non usi *ancora* nel senso di *se no*.
Per non parlare degli anglicismi inutili, che sono tutto un capitolo a parte. Se uno è talmente pigro da scrivere *settare* invece di *impostare* o talmente imbecille da ritenere che *updatare* sia italiano, forse farebbe meglio a cambiare attività.
Intendiamoci, non sono un purista. Come tutti noi, credo, sono cosciente del fatto che le lingue si evolvono, e guai se non fosse così. Tuttavia sarebbe scorretto pensare che qualsiasi cambiamento comporta un'evoluzione. L'evoluzione è di per sé un fatto positivo, se no non si chiamerebbe così. Ci sono invece cambiamenti linguistici che causano un'impoverimento della lingua, e credo che, come traduttori, dovremmo anche agire un po' da ecologisti della lingua, astenendoci dal contribuire al propagarsi di impurità.
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theDsaint
theDsaint
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c'è ben altro in giro! Aug 8, 2005

Giuseppina Gatta wrote:

Ciao Arturo, copio da un vecchio Zingarelli:
"Prep.: es. stare dietro le quinte"
poi dice "anche nella loc. prep.: dietro a-, es. ti aspetto al bar dietro alla stazione



il de mauro a quanto pare è di avviso contrario su «sotto» (anche se dice che «sotto a» esiste)
http://www.demauroparavia.it/111407
ma non su «dietro»
http://www.demauroparavia.it/32797
o «sopra»
http://www.demauroparavia.it/110695

io sono di quelle che usa tranquillamente la preposizione «a» , ma a pensarci bene può essere vero che è un prestito dal dialetto (milano nel mio caso).
non so voi, ma io ultimanete sono sempre più sconvolta dall'uso della punteggiatura: c'è sempre più gente che non sa davvero dove mettere punti, virgole, due punti, eccetera. o li mettono a casa, o proprio non li mettono, allucinante!


 
gianfranco
gianfranco  Identity Verified
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Altri poi.... Aug 8, 2005

...ignorano le lettere maiuscole, anche all'inizio di frase e nei nomi propri.


Gianfranco


 
Maurizio Spagnuolo
Maurizio Spagnuolo  Identity Verified
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Ceneriera e guantiera Aug 8, 2005

Una postilla al post dell'ottimo Gaetano, che saluto.

In qualità di fumatore e napoletano, vorrei tanto che "ceneriera" facesse il suo trionfale ingresso nella lingua italiana, soppiantando una volta e per sempre gli insipidi e burocratici "posacenere" e "portacenere".

Del resto, il termine è napoletanissimo ma deriva direttamente dal francese "cendrier" ed è presente nello Zanichelli del '97, indicato come "raro" ma non dialettale.

Succede lo stesso con
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Una postilla al post dell'ottimo Gaetano, che saluto.

In qualità di fumatore e napoletano, vorrei tanto che "ceneriera" facesse il suo trionfale ingresso nella lingua italiana, soppiantando una volta e per sempre gli insipidi e burocratici "posacenere" e "portacenere".

Del resto, il termine è napoletanissimo ma deriva direttamente dal francese "cendrier" ed è presente nello Zanichelli del '97, indicato come "raro" ma non dialettale.

Succede lo stesso con la "guantiera" di paste o di mignon.
Vedi Zanichelli: vassoio per dolci, sorbetti, e sim.
Dim. guantierina

Saluti a tutti e buone vacanze
Maurizio
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Gaetano Silvestri Campagnano
Gaetano Silvestri Campagnano  Identity Verified
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Voci regionali e voci standard Aug 8, 2005

Ciao Maurizio

Anch'io mi auguro che i termini che hai citato passino al più presto nell'italiano standard, forse più per la "guantiera" che non per la "ceneriera". Infatti, come mi hai ricordato, esiste anche la "guantiera" delle paste, che almeno per me, ma anche per molti amanti dei dolci, napoletani e non, evoca immagini molto più piacevoli del portacenere...

Inoltre, chi non ricorda la mitica scena
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Ciao Maurizio

Anch'io mi auguro che i termini che hai citato passino al più presto nell'italiano standard, forse più per la "guantiera" che non per la "ceneriera". Infatti, come mi hai ricordato, esiste anche la "guantiera" delle paste, che almeno per me, ma anche per molti amanti dei dolci, napoletani e non, evoca immagini molto più piacevoli del portacenere...

Inoltre, chi non ricorda la mitica scena di Totò nel film "Il turco napoletano", quando si rivolge al personaggio del "guappo di cartone" dicendogli: "La vedi questa guantiera?" "La vedi questa guantiera?", e allo stesso tempo gli dà il fatto suo piegando in quattro proprio come una "guantiera" di paste un pesante vassoio di metallo che l'altro aveva solo curvato leggermente?

Ma, a parte queste reminiscenze tra golosità e mitologia del cinema, è normale che delle voci di italiano regionale facciano già parte dell'italiano "corretto" e si trovino nel vocabolario, anche se non sono ancora nell'italiano standard. Non è detto, infatti, che l'italiano regionale sia sempre sinonimo di forme scorrette. Spesso, nel caso del lessico, si tratta di forme che non sono più esclusivamente dialettali, ma che rimangono comunque dei regionalismi, cioè delle forme caratteristiche dell'italiano di una specifica regione. Poi, come accennavo prima, queste voci possono a volte completare il processo che le ha portate a diventare forme corrette dell'italiano e a entrare nel dizionario, e può perciò accadere che passino anche nell'italiano standard.

E questo è anche un segno di vitalità della lingua, che, come giustamente dice Elisa, non è certo un'entità statica e monolitica, ma un organismo vivo, palpitante e in continua evoluzione.

Buone vacanze a tutti,

Gaetano




[Edited at 2005-08-08 21:56]
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Giuseppina Gatta, MA (Hons)
Giuseppina Gatta, MA (Hons)
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Voci regionali e dialettali Aug 9, 2005

Come ha detto Gaetano e credo anche Maurizio, le voci cosiddette regionali e dialettali spesso sono invece voci colte che si ricollegano direttamente al latino o ad altre lingue (nel mio dialetto ad es. il francese).
Il primo esempio che mi viene in mente in questo caso è il termine dialettale barese "crè", che significa domani, e deriva direttamente dal latino "cras".
Se può consolare i napoletani, anche in Puglia si usa il termine guantiera (ma ceneriera non l'ho mai sentito)... See more
Come ha detto Gaetano e credo anche Maurizio, le voci cosiddette regionali e dialettali spesso sono invece voci colte che si ricollegano direttamente al latino o ad altre lingue (nel mio dialetto ad es. il francese).
Il primo esempio che mi viene in mente in questo caso è il termine dialettale barese "crè", che significa domani, e deriva direttamente dal latino "cras".
Se può consolare i napoletani, anche in Puglia si usa il termine guantiera (ma ceneriera non l'ho mai sentito)
Ciao
Giusi
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Maurizio Valente
Maurizio Valente  Identity Verified
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In memoriam
Perché non sei una fumatrice ... Aug 9, 2005

In napoletano è crai (credo; mi baso su una canzone della NCPP, Pulicinella)

Giuseppina Gatta wrote:

Come ha detto Gaetano e credo anche Maurizio, le voci cosiddette regionali e dialettali spesso sono invece voci colte che si ricollegano direttamente al latino o ad altre lingue (nel mio dialetto ad es. il francese).
Il primo esempio che mi viene in mente in questo caso è il termine dialettale barese "crè", che significa domani, e deriva direttamente dal latino "cras".
Se può consolare i napoletani, anche in Puglia si usa il termine guantiera (ma ceneriera non l'ho mai sentito)
Ciao
Giusi


 
Gaetano Silvestri Campagnano
Gaetano Silvestri Campagnano  Identity Verified
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"Cras", "Crai" e "Domani" Aug 9, 2005

Ciao Maurizio

Il termine "crai" di cui tu parli per il napoletano, riguardo a un'antica canzone che hai sentito eseguire dalla famosa "Nuova compagnia di canto popolare", è sicuramente esistito nel napoletano arcaico, ma è ormai scomparso dal napoletano attuale, che ormai da tempo utilizza "dimane" (dove la vocale finale non si pronuncia certo come la "e" dell'italiano, ma come "vocale centrale", praticamente come la "e muette" del francese e dove la "d" iniziale, quando è preced
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Ciao Maurizio

Il termine "crai" di cui tu parli per il napoletano, riguardo a un'antica canzone che hai sentito eseguire dalla famosa "Nuova compagnia di canto popolare", è sicuramente esistito nel napoletano arcaico, ma è ormai scomparso dal napoletano attuale, che ormai da tempo utilizza "dimane" (dove la vocale finale non si pronuncia certo come la "e" dell'italiano, ma come "vocale centrale", praticamente come la "e muette" del francese e dove la "d" iniziale, quando è preceduta da una parola che termina in vocale, subisce il "rotacismo", tipico delle "d" napoletane, e cioè diventa "r": si scrive cioè "vengo dimane", ma si pronuncia "vengә rimanә"). Questo almeno è il termine utilizzato per la parola "domani" dal napoletano in senso stretto, cioè quello parlato in gran parte delle province di Napoli e Caserta e nella parte Nord della provincia di Salerno.

L'idioma in cui posso invece dire con certezza assoluta che si utilizza pari pari il "cras" del latino per il termine "domani" è il sardo, lingua della terra di origine di mia madre. Infatti, per le particolarissime caratteristiche di arcaicità e conservatività dei questa espressione linguistica (almeno per quanto riguarda il logudorese-nuorese, cioè il dialetto parlato nella parte centrale della Sardegna), accanto a un gruppo abbastanza nutrito di parole castigliane e catalane, derivate dalle dominazioni più recenti, sono ancora presenti molte parole del latino classico, spesso quasi invariate. Troviamo ad esempio "janna", "zanna", per "porta", da "ianua", "occannu", per "quest'anno", da "hoc annus"; "eo", "deo" per "io" da "ego", che rimane persino uguale in alcune zone del nuorese, e addirittura le consonanti velari del latino classico, con "chelu" e "chena" per "cielo" e "cena", da "coena" e "caelum", che nel latino classico venivano pronunciate con l'iniziale "k" velare.

Per tornare invece all'argomento specifico del thread, benché conosca il sardo da sempre e lo parli anche abbastanza bene, non riesco proprio a ricordare delle forme di italiano regionale della Sardegna, forse perché sono meno numerose, probabilmente per il contesto linguistico-culturale diverso in cui si è determinato il contatto con l'italiano. Ma a questo proposito chiedo aiuto a tutti i colleghi sardi, qualora potessero fornirmi degli esempi anche su questo versante.

Ciao a tutti,

Gaetano



[Edited at 2005-08-09 16:07]
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