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saper leggere? saper scrivere? ma è davvero importante?
Thread poster: Alfredo Tutino
texjax DDS PhD
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Feb 9, 2008

smargiassi wrote:

No, non solo in un mondo perfetto. Certo, chi lavora con le parole e le usa male viene notato di più. Ma fa davvero più danni?



Continuo con la mia provocazione e le rispondo di .
Per chi lavora con le parole e col linguaggio e per definizione è o si forgia del titolo di vestale della lingua italiana o di intermediario culturale, certi errori sono o dovrebbero essere inammissibili. L’insegnante di lettere che non insegna l’uso corretto degli accenti, il giornalista che si esprime in itangliano, intercalando una parola inglese ogni 4 scritte in italiano, usando erroneamente il congiuntivo, o chi definisce una donna in stato interessante in cinta, arrecano un danno maggiore alla cultura del mio amministratore di condominio che dimentica i peluffi delle virgole o dell’ingegnere che legge solo l’oroscopo dai tempi della laurea.
Non mi fraintenda, concordo su molte delle cose che dice, inclusi i ponti, ma mi sembra che il Suo articolo sia focalizzato più sull'università e non sulla scuola, l'effetto e non la causa. Non è compito dell'università insegnare la differenza fra elisione e apocope. Chi intraprende un qualsiasi corso di laurea dovrebbe già saperlo. Dopo 5 anni di scuola elementare, 3 di medie, 5 di superiori... dovrebbe saperlo! Certe cose, se insegnate e apprese, non si dimenticano. Non stiamo parlando della data della presa della Bastiglia, ma di regole basilari. Se non si sa trascrivere l’oralità, se il libro bianco fa paura, per la gioia di Cepu e del suo servizio SOS laurea, bisogna andare a cercarne le origini e agire su quelle, piuttosto che gridare allo scandalo e sgranare gli occhi alla notizia dei laureati analfabeti.
Un diplomato analfabeta non potrà trasformarsi in un laureato alfabetizzato, neanche dopo 4, 5, 7 o più anni di corso di laurea e gare di ortografia.
La gente non legge o legge poco. Vero, non vero, vero a metà. Ma la stessa gente va a scuola, guarda e ascolta il telegiornale della TV di stato, la televisione in generale e naviga le onde sgarrupate di internet.
Ora, su quest’ultimo è impensabile agire, ma sul resto?

Cordiali saluti

Bruna


[Edited at 2008-02-09 18:07]


 
transparx
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un appunto linguistico Feb 10, 2008

Daniele Martoglio wrote:
Tra l'altro il menu parlava di "pepperongino"...

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Solo allora ho capito che il tizio con cui avevo parlato in polacco alcuni giorni prima era il proprietario italiano ANALFABETA del locale...


Il ristoratore (molto probabilmente meridionale) che scrive pepperongino non è analfabeta. Nell'articolo si parlava di laureati che riescono a trascrivere soltanto la propria oralità --il che, a proposito, non è sempre una cosa facile, come ci insegnano alcuni scrittori. Lì, sì, si può parlare di analfabetismo parziale. Ma ridicolizzare un povero lavoratore che trascrive la sua lingua per fare pubblicità alla sua cucina e per sbarcare il lunario, mi sembra, a dir poco, offensivo. Una delle mie nonne era completamente analfabeta, ma senz'altro molto più intelligente di tanti traduttori qui a proz. Ma da quando in qua tutti i traduttori sono diventati linguisti?

In alcune regioni d'Italia, peperoncino si dice pepperongino. La seconda [p] è raddoppiata, in completo accordo con la fonologia delle varietà linguistiche parlate in quelle regioni. La [c] che segue una [n] (un suono nasale) diventa sonora. Di nuovo, è una regola fonologica. Qual è il problema?

[Edited at 2008-02-10 22:48]


 
Angie Garbarino
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A proposito di itangliano Feb 10, 2008

texjax DDS PhD wrote:
il giornalista che si esprime in itangliano, intercalando una parola inglese ogni 4 scritte in italiano


Penso abbiate notato che i telegiornali italiani parlano di "election day" e non per parlare delle prossime elezioni USA, ma per indicare la data delle elezioni nostrane.

Rob de mat... (come direbbero a Milano).

Che sia un tacito accordo per insegnare l'inglese a quei pochi che ancora non lo masticano? Mah...

Buona domenica a tutti!



[Edited at 2008-02-10 12:59]


 
Annamaria Arlotta
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una ticketteria Feb 10, 2008

@ Michele: grazie per la bella risposta improntata ad equilibrio e gentilezza. Ho cercato su internet “lettoscrittura”, che a volte è scritto tutto attaccato, e pur continuando a trovarlo brutto, hai ragione, esiste! “Disabitudine”, che sta per “mancanza di abitudine” continua a non piacermi, sorry.

Mi sembra comunque che la tendenza ad inventare vocaboli nuovi sia molto forte. Sarà a causa dell’influenza della pubblicità che mette insieme vocaboli o parte de
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@ Michele: grazie per la bella risposta improntata ad equilibrio e gentilezza. Ho cercato su internet “lettoscrittura”, che a volte è scritto tutto attaccato, e pur continuando a trovarlo brutto, hai ragione, esiste! “Disabitudine”, che sta per “mancanza di abitudine” continua a non piacermi, sorry.

Mi sembra comunque che la tendenza ad inventare vocaboli nuovi sia molto forte. Sarà a causa dell’influenza della pubblicità che mette insieme vocaboli o parte degli stessi a piacimento? Mi viene in mente soltanto “chicchiricchi” ma penso che tutti sappiano a cosa mi riferisco, cose del tipo “i frescallegri , i coccomorbidi”. Fatt’è che perfino Tullio de Mauro, nell’articolo proposto da Francesca Pesce, afferma che gli anglismi “spesseggiano” nelle pubblicità dei computer. Verbo spesseggiare? No, non gli scriverò tutta scandalizzata, mi rassegno all’idea che inventare termini nuovi sia una moda che esercita un grande fascino.

Passando a quello che Angio riferisce, in effetti è proprio ridicolo parlare di election day . Io sospetto che il proposito sia quello di suscitare un po’ di eccitazione per il miliardesimo cambio di governo italiano: credo che a volte si usino i termini inglesi proprio perché evocano fenomeni e realtà lontani dai nostri percepiti come degni di imitazione. Una volta ho visto una “ticketteria” per non ricordo quale compagnia di navigazionei: beh, una ticketteria funziona senz'altro meglio che una polverosa biglietteria, vogliamo mettere? Niente file, l'impiegata è cortese ed efficiente, sorride e non si assenta mai; i terminali non si fermano, figurarsi. Con una ticketteria così anche gli aliscafi partono in perfetto orario, si capisce!
In Italia c'é un po' il mito dell’Inghilterra e dell’America: sentendo i termini inglesi magari molti fanno un’associazione mentale tra il modello che hanno in mente e la realtà italiana – potere di suggestione delle parole!


[Modificato alle 2008-02-10 13:39]
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Elisa Comito
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Alfabetizzazione e intelligenza Feb 11, 2008


transparx wrote:

Una delle mie nonne era completamente analfabeta...


Risalendo indietro nel tempo tutti troveremmo una nonna, una bisnonna o comunque una bisavola analfabeta dato che in Italia, come in molti paesi, la scolarizzazione di massa è un fatto recente e per secoli saper leggere e scrivere è stato considerato utile solo per determinate categorie sociali.
D’altronde per la maggior parte della storia dell’umanità la trasmissione culturale è avvenuta oralmente e il substrato di tutte le letterature è costituito dalla mitologia e dalle leggende che si tramandavano di bocca in bocca.
In realtà le persone erano illetterate solo nel senso che non conoscevano l’attuale scrittura, ma già da tempo “leggevano”, interpretavano e utilizzavano tutta una serie di segni e relazioni che definiva il loro ambiente, naturale e sociale.
L’aggiunta della scrittura a quest’universo di simboli ha rappresentato per la conquista culturale umana quello che l’invenzione dell’aero è stata per la conquista dello spazio fisico: le ha messo le ali. Ha potenziato enormemente la possibilità di trasmettere il sapere, rendendolo più duraturo e consentendo elaborazioni astratte più complesse. Perciò, pur non essendo padroneggiata da tutti, la scrittura ha accresciuto l’intelligenza (nel senso originario di “leggere dentro”, comprendere) di tutta l’umanità, “analfabeti” compresi. A livello personale chiaramente chi sapeva leggere e scrivere era avvantaggiato sugli altri. Perseguendo l’alfabetizzazione di massa si è cercato (oltre che di creare una base culturale comune) di portare tutti sullo stesso piano, cioè di formare persone ugualmente in grado di comprendere la realtà e far valere i propri diritti.
L’attuale regressione verso il semi-analfabetismo secondo me non si può valutare solo in base a uno dei suoi sintomi, la difficoltà a scrivere correttamente, ma bisogna considerare quello che c’è dietro: la perdita della funzione culturale della scrittura e della comunicazione in genere.
Il sistema di comunicazione umano, l’universo di segni che l’umanità analfabeta sapeva interpretare, successivamente affiancato e in gran parte sostituito dall’universo scritto, si è sviluppato e perfezionato finché era viva la sua funzione: quella di riflettere ed elaborare la complessità dell’universo in cui si muoveva l’uomo. Man mano che questo universo si impoverisce, col procedere dell’automazione e della massificazione, si impoverisce anche la capacità di usare la lingua. Non tanto perché non la si studi ma perché per insegnarla e apprenderla bene occorre “viverla”, vivere in un mondo di strutture logiche e armoniche, di sintesi basata sull’intelligenza, sulla ricerca, sulla creatività e sul senso critico, che si riflettono nella struttura della lingua. Non a caso tradizionalmente nella scuola italiana si passavano le ore a fare l’analisi logica di un testo: serviva a far comprendere agli studenti che ogni espressione sottende (o dovrebbe sottendere) una logica, un piano di costruzione, un progetto, a cui ogni elemento dev’essere funzionale. Elaborare un testo è come costruire una casa, il proprio habitat linguistico. Quando sono chiari i principi di base la struttura potrà essere più o meno ricca, più o meno sofisticata, ma sarà sempre solida e funzionale. Se manca l’intelaiatura sottostante, se non si comprende che un testo (nel senso originale di “tessuto”, costrutto) non è una sequenza di parole, né un insieme di regole, ma il progetto finale che quelle regole aiutano a costruire, non si riuscirà mai nell’impresa.
Il problema non è la ricchezza del vocabolario, la purezza grammaticale, il “curriculum” linguistico del singolo parlante, che può esprimersi correttamente nella sua lingua di origine, in quella del paese in cui va a vivere o, col tempo, creare un proprio linguaggio che si rivela una sintesi delle due, più o meno riuscita… Ci sono sempre stati e ci saranno sempre individui con abilità comunicative diverse e anche persone intelligentissime incapaci di scrivere ma che si esprimono altrimenti in modo eccellente. Finché la lingua sarà usata da una società intelligente non si impoverirà.
Il problema nasce quando vi è un impoverimento culturale generale, al punto che persino le persone che con la lingua scelgono di lavorare adottano sistematicamente comportamenti che dimostrano la loro incomprensione del suo ruolo culturale: il giornalista che in ogni riga infila 3-4 parole inglesi; l’insegnante che in nome di una malintesa libertà espressiva rinuncia a dare una guida ai propri studenti o quello che, all’opposto, soffoca ogni creatività linguistica in nome del dogmatismo; gli scrittori che non comprendono che il linguaggio degli SMS non è consono a testi di altro genere, i politici che usano slogan da campagna elettorale come normale modo di discussione, ecc.


[Edited at 2008-02-11 08:02]


 
transparx
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ottimo intervento! Feb 11, 2008

Elisa Comito wrote:

Alfabetizzazione e intelligenza
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Concordo in tutto.


 
Armando Tavano
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"Peluffi" vs. contenuti Feb 14, 2008

Citerò un esimio intellettuale e presidente argentino del secolo XIX, Domingo Faustino Sarmiento. Uomo di contenuti soleva scrivere senza porre nei suoi testi né virgole, né punti, né accenti (gli apostrofi in spagnolo non si usano). Qualcuno glielo fece notare inorridito (forse un traduttore?). Per tutta risposta Sarmiento spedì al mittente di tale osservazione una lettera piena di punti, virgole, punti e virgola e accenti, invitandolo a metterli dove gli paresse senza cambiare il contenut... See more
Citerò un esimio intellettuale e presidente argentino del secolo XIX, Domingo Faustino Sarmiento. Uomo di contenuti soleva scrivere senza porre nei suoi testi né virgole, né punti, né accenti (gli apostrofi in spagnolo non si usano). Qualcuno glielo fece notare inorridito (forse un traduttore?). Per tutta risposta Sarmiento spedì al mittente di tale osservazione una lettera piena di punti, virgole, punti e virgola e accenti, invitandolo a metterli dove gli paresse senza cambiare il contenuto dei suoi scritti.
Nei ritagli del loro tempo dei colleghi preparati propongono su questo Forum un tema interessante e invece di svilupparlo a dovere ci si insabbia in critiche relative agli aspetti formali della redazione. Paradossalmente tutti i censori sono anche loro incorsi in imprecisioni, alcune fatte notare, altre no. Siamo alle solite. In una recente conferenza, alla quale ho partecipato come relatore e il cui titolo era Getting Started, invitavo gli aspiranti traduttori a curare meticolosamente non solo l'ortografia ma anche la punteggiatura. Insistevo sul fatto che non importava quanto fossero bravi a tradurre, in ogni caso un accento alla rovescia avrebbe potuto motivare un cestinamento immediato della loro postulazione. Illustravo con altri esempi quanto i traduttori ci tengano alla forma. Al riguardo mi sembra che sia emblematico l'intervento di Gianfranco e i suoi riferimenti metaforici. Del resto i "peluffi inferiori", soprattutto le virgole, vanno usati secondo regole abbastanza precise, anche se c'è sempre una certa discrezionalità, per cui, per esempio, qualcuno ne fa un uso sovrabbondante e qualcun altro, un uso ridotto. Questioni di gusti.
Ci troviamo sempre davanti al solito dilemma: forma o contenuto. Sembra, invece, che il contenuto abbia decisamente la prevalenza, tant'è vero che, per esempio, ci sono delle persone di successo che fanno dell'illetteratismo la loro bandiera. Senza far nomi, o quasi, mi sembra che gli strafalcioni di Bush e quelli, scusate l'accostamento casuale, di Di Pietro siano arcinoti a tutti.
Cause dell'apparente illetteratismo contemporaneo: probabilmente il fatto che non amiamo più la nostra lingua, probabilmente perché non amiamo nemmeno tanto il nostro Paese e la nostra cultura. Vai a sapere! Ricordo benissimo un professore di Scienza delle Finanze di Trieste, il quale nel 1975 sosteneva che gli interessava soltanto che suo figlio parlasse bene l'inglese, anche a scapito dell'italiano. Probabilmente ci stiamo avviando verso un declassamento progressivo della nostra lingua, che viene contaminata sempre di più da espressioni dialettali e che viene curata sempre di meno a tutti i livelli. Probabilmente è il preludio di una globalizzazione linguistica verso l'inglese. Probabilmente..chissà.
Ciao
Armando

[Edited at 2008-02-14 20:54]

[Edited at 2008-02-15 01:44]

[Edited at 2008-02-15 09:25]
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gianfranco
gianfranco  Identity Verified
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Ottima idea Feb 14, 2008

Armando Tavano wrote:
Citerò un esimio intellettuale e presidente argentino del secolo XIX, José Faustino Sarmiento. Uomo di contenuti soleva scrivere senza porre nei suoi testi né virgole, né punti, né accenti (gli apostrofi in spagnolo non si usano). Qualcuno glielo fece notare inorridito (forse un traduttore?). Per tutta risposta Sarmiento spedì al mittente di tale osservazione una lettera piena di punti, virgole, punti e virgola e accenti, invitandolo a metterli dove gli paresse senza cambiare il contenuto dei suoi scritti.


armando non conoscevo questa storia molto interessante ma non penso che sia applicabile per noi comuni mortali ne sul lavoro ne in altre forme di comunicazione scritta non so il motivo per cui questo eccentrico intellettuale e presidente argentino lo facesse forse aspettava di farlo notare per rispondere come ha fatto per il gusto di una battuta e basta certamente so che se lo facessi nei miei lavori e rispondessi in quel modo al cliente forse non vedrei mai nessun lavoro pagato e anche questo intervento la mia risposta a voler fare i pignoli non e che sia tanto chiara

ecco i peluffi sistemateli voi senza alterare quello che ho scritto
, , , , , , , , , . . . . . . ( ) ( ) ! : ... ""
gli accenti non ve li do prendeteli dai vostri


ciao
Gianfranco



[Edited at 2008-02-14 18:43]


 
Daniele Martoglio
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Anche lo spazio è un elemento di interpunzione... Feb 14, 2008

gianfranco wrote:

armando non conoscevo questa storia molto interessante ma non penso che sia applicabile per noi comuni mortali ne sul lavoro ne in altre forme di comunicazione scritta non so il motivo per cui questo eccentrico intellettuale e presidente argentino lo facesse forse aspettava di farlo notare per rispondere come ha fatto per il gusto di una battuta e basta certamente so che se lo facessi nei miei lavori e rispondessi in quel modo al cliente forse non vedrei mai nessun lavoro pagato e anche questo intervento la mia risposta a voler fare i pignoli non e che sia tanto chiara


carogianfr ancomisemb rachetutis ialimitato aeliminare uncertotip odipeluffi ossiaicara tterinonal fabeticima haidimenti catodielim inareunimp ortantecar atterenona lfabeticoc heneicompu terhailcod iceascii32 ossialospa zioessendo inoltreche permotivie sclusivame ntetecnici untestodic entinaiadi caratteris enzaspazin onverrebbe formattato benepropor reidiinser ireunospaz ioognidiec icaratteri inmodochei meccanismi diformatta zioneperme ttanodispe zzarelelin eequestosi cheescrive redaniele


 
Fulvio Z. (X)
Fulvio Z. (X)  Identity Verified
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Solo una piccola precisazione se posso Feb 14, 2008

Il presidente argentino si chiamava "Domingo Faustino Sarmiento", non José.
Questo personaggio, inoltre, non è solo stato presidente, ma anche un vero maestro, introdusse riforme scolastiche rivoluzionarie per l'epoca.

Si narra che durante un discorso al senato citando "shakespeare", lo pronunciò "scakespeare" un parlamentare lo corresse con la pronuncia inglesecorretta, l'esimio maestro allora, continuò il suo discorso in un ottimo inglese.

Ciao a tutt
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Il presidente argentino si chiamava "Domingo Faustino Sarmiento", non José.
Questo personaggio, inoltre, non è solo stato presidente, ma anche un vero maestro, introdusse riforme scolastiche rivoluzionarie per l'epoca.

Si narra che durante un discorso al senato citando "shakespeare", lo pronunciò "scakespeare" un parlamentare lo corresse con la pronuncia inglesecorretta, l'esimio maestro allora, continuò il suo discorso in un ottimo inglese.

Ciao a tutti, ci tenevo a questa piccola precisazione


Angio

[Edited at 2008-02-15 09:13]
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Mariella Bonelli
Mariella Bonelli  Identity Verified
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. Feb 15, 2008

Daniele Martoglio wrote:
carogianfr ancomisemb rachetutis ialimitato aeliminare uncertotip odipeluffi ossiaicara tterinonal fabeticima haidimenti catodielim inareunimp ortantecar atterenona lfabeticoc heneicompu terhailcod iceascii32 ossialospa zioessendo inoltreche permotivie sclusivame ntetecnici untestodic entinaiadi caratteris enzaspazin onverrebbe formattato benepropor reidiinser ireunospaz ioognidiec icaratteri inmodochei meccanismi diformatta zioneperme ttanodispe zzarelelin eequestosi cheescrive redaniele




 
Anna Lanave
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Un aspetto cruciale su cui discutere Feb 16, 2008

smargiassi wrote:

Speravo però che il senso del mio articolo fosse abbastanza chiaro: il vero analfabetismo dei laureati non è l'inciampo su qualche ortografia, che può semmai essere un sintomo della malattia vera: l'incapacità di "pensare" un testo scritto.


Michele Smargiassi


Innanzitutto ti ringrazio per esserti unito a noi in questa discussione che è, come comprenderai, il nostro pane quotidiano.

In secondo luogo, quando ho letto il tuo articolo è proprio l'aspetto che ho riportato sopra che ha maggiormente attirato la mia attenzione. E sul quale tu stesso, giustamente, riporti l'attenzione.

Gli italiani mentalmente analfabeti.

Ma aggiungerei che si tratta di un fenomeno che va ben oltre l'incapacità di un laureando/laureato di pensare un testo scritto.

A mio avviso è un fenomeno molto più ampio e che ha le sue radici in una certa indolenza intellettuale dalla quale siamo pervasi noi italiani, ormai da anni, e il risultato è evidente: in radio, in TV e sulla carta stampata.

Abbiamo perso l'acume, il distacco e la capacità critica, abbiamo perso la grinta, la voglia di interessarci ad altro che non sia pura forma, espressione superficiale del nostro io.
Abbiamo perso di vista la nostra crescita e il nostro miglioramento.

E direi che anche in questo siamo decisamente un paese alla deriva.

Un saluto e continua a leggerci.
Anna


 
mariant
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Tempi moderni Feb 16, 2008

Negli anni scorsi, nell'ambito di una collaborazione con l'Università ho avuto modo di vedere alcune tesi di laurea e ho dovuto constatare con stupore e amarezza quei fenomeni descritti nell'articolo segnalato da Alfredo: errori vari, non tanto di ortografia (per fortuna c'è il correttore ortografico, sì, ma poi non si rilegge per correggere il correttore che ha trasformato il decreto "rettorale" in "pettorale"...), quanto di costruzione (il congiuntivo sostituito dall'imperfetto) e soprattut... See more
Negli anni scorsi, nell'ambito di una collaborazione con l'Università ho avuto modo di vedere alcune tesi di laurea e ho dovuto constatare con stupore e amarezza quei fenomeni descritti nell'articolo segnalato da Alfredo: errori vari, non tanto di ortografia (per fortuna c'è il correttore ortografico, sì, ma poi non si rilegge per correggere il correttore che ha trasformato il decreto "rettorale" in "pettorale"...), quanto di costruzione (il congiuntivo sostituito dall'imperfetto) e soprattutto tanti, tanti errori nell'uso della punteggiatura. E poi (qui sta la mia amarezza) la povertà della lingua usata... Non si notava quasi lo stacco fra tesi e tema scolastico che dovrebbe invece mostrare la crescita e maturità intellettuale di un giovane dopo vari anni di studio.

Da notare che erano le tesi di studenti in Scienze della Comunicazione e Giornalismo, per i quali l'uso corretto dell'italiano dovrebbe essere uno strumento di lavoro e un biglietto da visita. Alcuni loro docenti con cui ne ho parlato mi hanno detto: "D'altronde si tratta solo di tesine... tanto è la triennale... non sono mica pubblicazioni... non ci si può aspettare di più dagli studenti di oggi... ecc. ecc." Una di loro diceva sconsolata che non solo i ragazzi ma anche alcuni colleghi la guardano sorpresi e un po' infastiditi perché richiede maggiore cura del testo e fa notare gli errori...

Mi associo ad Anna:

lanave wrote:

...si tratta di un fenomeno che va ben oltre l'incapacità di un laureando/laureato di pensare un testo scritto.

A mio avviso è un fenomeno molto più ampio e che ha le sue radici in una certa indolenza intellettuale dalla quale siamo pervasi noi italiani, ormai da anni, e il risultato è evidente: in radio, in TV e sulla carta stampata.

Abbiamo perso l'acume, il distacco e la capacità critica, abbiamo perso la grinta, la voglia di interessarci ad altro che non sia pura forma, espressione superficiale del nostro io.
Abbiamo perso di vista la nostra crescita e il nostro miglioramento.

E direi che anche in questo siamo decisamente un paese alla deriva.

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gianfranco
gianfranco  Identity Verified
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Di chi la colpa? Feb 16, 2008

lanave wrote:
...
A mio avviso è un fenomeno molto più ampio e che ha le sue radici in una certa indolenza intellettuale dalla quale siamo pervasi noi italiani, ormai da anni, e il risultato è evidente: in radio, in TV e sulla carta stampata.
...

Sono d'accordo. Un paese, una nazione moderna, non è fatto solo dai migliori artisti o dagli intellettuali più acuti. Se non c'è intorno una popolo in grado di capirli, le punte più alte della cultura cadono nel vuoto e non muovono nulla.
Quello che si spende in scuole e università, un investimento notevole per qualunque paese, rischia di restare una fabbrica di diplomi e lauree, utili a passare concorsi e pezzi di carta da incorniciare, ma se non si coltivano i cervelli, se la cultura media rimane al livello dei quiz televisivi (stendo un velo pietoso), la nazione intera e la sua lingua vanno in malora.

Ho una mezza idea su quali siano le cause della sottocultura. Sono molto incerto tra quale proporzione assegnare a ognuna delle seguenti cause:

1. un corpo insegnante motivato in gran parte, con poche eroiche eccezioni, soprattutto dallo stipendio fisso, ah, con buona pace della missione di formare le nuove generazioni

2. la cultura nepotistica, con relativi baroni e interessi privati, dei concorsi universitari e del mondo accademico in generale

3. l'influenza malefica della sottocultura televisiva, dove sguazzano alla grande nani e ballerine di ogni tipo

A voi la scelta...

Io sono convinto che l'incapacità di esprimersi in modo corretto e logico implica anche l'incapacità di capire e approfondire qualunque tema e, peggio ancora, una vasta, immensa, superficialità.
Le conseguenze sono visibili nella cronaca.


Gianfranco

[Edited at 2008-02-16 20:42]


 
Anna Lanave
Anna Lanave  Identity Verified
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Fattori interconnessi Feb 17, 2008

Per esporre il mio punto di vista in modo più approfondito dovrei inserire anche considerazioni di carattere socio-politico, ma non è questo il luogo.

Vorrei sottolineare però che in merito a quanto dici, Gianfranco:

Io sono convinto che l'incapacità di esprimersi in modo corretto e logico implica anche l'incapacità di capire e approfondire qualunque tema e, peggio ancora, una vasta, immensa, superficialità.
Le conseguenze sono visibili nella cronaca.


capacità di esprimersi e capacità di capire e approfondire sono fattori interdipendenti e interconnessi. E pure strettamente.
Un po' come la storia dell'uovo e della gallina, non è possibile stabilire chi è nato prima.

La nostra deriva culturale (e sociale, e politica ed economica) ha origine dalle piccole cose, per esempio non viene costantemente stimolata la coscienza sociale.

Leggo a Londra sulle fiancate dei bus:
smart londoners stand on the right side

(o qualcosa del genere)

L'immagine sotto lo slogan rappresenta gente nella metropolitana che durante l'ora di punta occupa la parte destra della scala mobile.
Un italiano medio potrebbe pensare che questi inglesi sono banali, ma non è così. Quella che può sembrare un'ingenua pubblicità riporta l'attenzione del pubblico sull'atteggiamento più giusto da tenere in quella circostanza nell'interesse di tutti.

Il cartellone pubblicizza peraltro il servizio ferroviario espresso che collega il centro di Londra all'aeroporto di Heathrow.

Tornando in argomento dopo questa divagazione mirata, questo è ciò che a noi italiani manca. Sensibilizzare l'opinione pubblica su questioni di interesse generale che, contrariamente a quanto si possa pensare, hanno un'estrema utilità anche per formare le menti giovani.

Una pubblicità del genere in Italia non sarebbe apprezzata da nessuno, perché sarebbe considerata superflua (...) e soprattutto non attirerebbe l'attenzione di nessuno perché non ci sono grandi marche, donnine o omettini bellocci a sostenerla con le loro belle faccine.

Quindi per concludere, siamo ben capaci di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su qualcosa, ma concentriamo i nostri sforzi su futilità che alimentano l'egocentrismo e non la coscienza sociale.

Lo stesso discorso è applicabile a questioni inerenti alla lingua e alla cultura.

Per fare questo bisogna che tutti collaborino, a partire da chi gestisce i mezzi di comunicazione di massa per finire con chi svolge il ruolo di educatore (genitori e insegnanti).

Non bisogna aver paura di vivere sulla "retta via".


 
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