Fattura a freelance italiano da cittadino italiano residente in UK
Thread poster: Maurizio Valente
Maurizio Valente
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In memoriam
Dec 6, 2003

Qualcuno mi sa dire come dev'essere la fattura di un cittadino italiano residente in UK (A) a un cittadino italiano residente in Italia (B) quando entrambi sono freelance/privati e quando A effettua la prestazione di lavoro in UK?
Ho sentito di un 30% di acconto che B dovrebbe versare al fisco italiano. E secondo altri la fattura di A dovrebbe contemplare anche l'IVA.
Qualcuno ha informazioni precise? Il mio comm.sta non saprà rispondermi con precisione prima di martedi', ma ho bis
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Qualcuno mi sa dire come dev'essere la fattura di un cittadino italiano residente in UK (A) a un cittadino italiano residente in Italia (B) quando entrambi sono freelance/privati e quando A effettua la prestazione di lavoro in UK?
Ho sentito di un 30% di acconto che B dovrebbe versare al fisco italiano. E secondo altri la fattura di A dovrebbe contemplare anche l'IVA.
Qualcuno ha informazioni precise? Il mio comm.sta non saprà rispondermi con precisione prima di martedi', ma ho bisogno di saperlo prima.
Grazie
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gianfranco
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Dettagli insufficienti Dec 6, 2003

Maurizio Valente wrote:

Qualcuno mi sa dire come dev'essere la fattura di un cittadino italiano residente in UK (A) a un cittadino italiano residente in Italia (B) quando entrambi sono freelance/privati e quando A effettua la prestazione di lavoro in UK?
Ho sentito di un 30% di acconto che B dovrebbe versare al fisco italiano. E secondo altri la fattura di A dovrebbe contemplare anche l'IVA.
Qualcuno ha informazioni precise? Il mio comm.sta non saprà rispondermi con precisione prima di martedi', ma ho bisogno di saperlo prima.
Grazie


Secondo me la tua descrizione non è sufficiente per determinare le modalità di fatturazione.

Il soggetto A è anche residente fiscale in UK o no?
Se lo fosse, ha anche una posizione IVA (VAT registered) o no?

Oppure è ancora un contribuente italiano ed ha una partita IVA aperta in Italia?

Dalla risposta a queste domande preliminari si può incominciare a eliminare alcune strade e cercare la soluzione, un po' tra dilettanti, ma visto che è urgente...

ciao
Gianfranco

[Edited at 2003-12-06 22:51]


 
Giacomo Camaiora (X)
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Si paga le tasse dove si matura il reddito Dec 7, 2003

Gianfranco Manca wrote:
Il soggetto A è anche residente fiscale in UK o no?
[Edited at 2003-12-06 22:51]


Come sottolineato da Gianfranco, il fattore determinante è il domicilio fiscale. Il criterio generale è che si paga le tasse nel paese dove si matura il reddito.


Se il Signor (A) vive fisso in UK, a tutti gli effetti è un soggetto fiscale inglese, a prescindere dalla nazionalità della sua partita IVA e dal fatto che sia un cittadino italiano. Quindi, fattura come se fosse un qualsiasi altro inglese e non può usare la p.IVA italiana.

Se però il signor (A) è in grado di provare che la sua attività di traduttore è centrata e localizzata in Italia, allora può dichiararsi fiscalmente Italiano (solo per i redditi come traduttore) e fatturare con la sua p.IVA italiana come un qualsiasi altro italiano. Vale a dire, il Signor (A) paga in Inghilterra le tasse per i redditi maturati in quel paese (se ha anche un altro lavoro) e paga in Italia le tasse come traduttore. Attenzione però, la residenza fiscale non è una libera scelta; per essere veramente riconosciuto dal fisco inglese come un traduttore italiano, il Signor (A) deve essere in grado di dimostrare che la sua attività di traduttore è centrata in Italia. Come minimo, deve avere un domicilio in Italia, viaggiare spesso in Italia, gestire i lavori con una email supportata da un provider italiano, ricevere i pagamenti su un conto bancario italiano, e avere significative frequentazioni in Italia (commercialista, clienti, ... ecc).

Non sono un commercialista, quando sopra deriva dalla mia esperienza personale. Devo purtroppo aggiungere che dai commercialisti, incluso i consulenti stranieri, non ho mai avuto risposte univoche e esaurienti su materie come queste.


Giacomo



[Edited at 2003-12-07 13:56]


 
Roberta Anderson
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fattura da residente UK senza VAT a residente in Italia con partita IVA Dec 7, 2003

Mi allaccio a questo thread perché a me servono info simili.
Il mio caso:
Devo ricevere una fattura da una (A) collega italiana residente e tassata in UK senza VAT number (causa credo il diverso livello di reddito necessario in UK prima di dover aprire la partita IVA). Io invece (B) ho partita IVA, sono residente e tassata in Italia.
Come mi deve fatturare la collega?

Grazie mille,
Roberta


 
Giacomo Camaiora (X)
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La mia opinione Dec 7, 2003

Roberta Anderson wrote:
Devo ricevere una fattura da una (A) collega italiana residente e tassata in UK senza VAT number (causa credo il diverso livello di reddito necessario in UK prima di dover aprire la partita IVA). Io invece (B) ho partita IVA, sono residente e tassata in Italia.
Come mi deve fatturare la collega?

Grazie mille,
Roberta



La Signora (A) vive stabilmente in UK, usufruisce dei servizi e dell'assistenza della società inglese, i suoi interessi vitali sono centrati in UK, e quindi ai sensi del fisco inglese non può dichiararsi fiscalmente straniera (altrimenti, tutti i ricchi avrebbero una strada per evadere il fisco). Quindi, sebbene di nazionalità italiana, la Signora (A) deve fatturare come farebbe una normale lady inglese che emette una fattura all'estero, cioè:

Compenso: XYZ Sterline
Taxes: 0%
-----------------
Totale: XYZ


Le tasse si pagano poi in sede di dichiarazione dei redditi; vale a dire, tu in Italia dichiarerai un'uscita di XYZ sterline, mentre la Signora (A) dichiarerà in UK un guadagnato di XYZ.

In realtà la Signora (A) non dichiarerà niente, come usuale nel caso delle prestazione occasionali (anche se in versione inglese).


Giacomo


 
Giuliana Buscaglione
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Non aver la partita I.V.A. non significa sempre e dovunque fornire prestazioni "occasionali" Dec 7, 2003

Giacomo Camaiora wrote:
In realtà la Signora (A) non dichiarerà niente, come usuale nel caso delle prestazione occasionali (anche se in versione inglese).


Ciao Giacomo,

in molti Paesi, anche se la prestazione non è occasionale non si ha partita I.V.A.: non si raggiunge il minimo fissato dalla legge, oltre il quale è necessario aprire una partita I.V.A.
Non solo, anche se il fatturato totale fosse al di sopra del tetto massimo senza I.V.A., ma la parte di fatturato realizzata nel Paese in cui si pagano le imposte non raggiungesse questo limite, si continuerebbe a non dover far richiesta di partita I.V.A.
Non avere la partita I.V.A. non è sinonimo di traduttore non professionale o occasionale come si ritiene in Italia.

Quanto a se fatturare con o senza I.V.A., credo che, se i colleghi non sono i "destinatari" del lavoro, non ha importanza se hanno o no la partita I.V.A. (supponendo che il cliente finale l'abbia), per l'estero si scrivono notule senza I.V.A. Per il resto mi par di ricordare che in Italia ci siano ulteriori eccezioni (difficili a mio parere da stabilire con sicurezza) del tipo "se la traduzione viene usata in Paesi UE o no" che non conosco bene non essendo sottoposta alla tassazione italiana per il mio lavoro.

Giuliana


 
Ilde Grimaldi
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art. 25 comma 2 DPR 600/73 Dec 7, 2003

ciao Maurizio
ne avevamo parlato, ma hai dimenticato di indicare gli articoli di legge!!! Meglio discutere in base a quelli, non ti pare, visto che si dovrà istruire il commercialista)

Venerdì sera tardi mi ha chiamato il mio commercialista e convocato per la settimana prossima perché tra l'altro dovrei versare questo 30% (!!!!) per delle fatture che mi hanno emesse quest'anno due colleghi comunitari resident
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ciao Maurizio
ne avevamo parlato, ma hai dimenticato di indicare gli articoli di legge!!! Meglio discutere in base a quelli, non ti pare, visto che si dovrà istruire il commercialista)

Venerdì sera tardi mi ha chiamato il mio commercialista e convocato per la settimana prossima perché tra l'altro dovrei versare questo 30% (!!!!) per delle fatture che mi hanno emesse quest'anno due colleghi comunitari residenti all'estero titolari di partita IVA nei loro paesi di residenza.
L'articolo a cui il mio commercialista fa riferimento è il seguente:

art. 25 comma 2 DPR 600/73
in cui si parla di lavoro autonomo e ritenuta a titolo definitivo

non riporto dalla legge, ma da un commento (http://www.jus.unitn.it/SA/p&p/98/2/memoria-tomaselli.html):
"l’art. 25 DPR 600/73 ... stabilisce l’obbligo per il sostituto d'imposta, che corrisponde compensi, comunque denominati, per prestazioni di lavoro autonomo a soggetti non residenti, di operare la ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 30 per cento"

quello che desidererei, non capendoci molto, è proprio trovare le frasi che smentiscono ciò).

Per contestargli questa cosa, vorrei portargli dei riferimenti, gli ho già detto che mi sembra assurdo, altrimenti le agenzie italiane ci penserebbe 100 volte prima di affidare lavori a madrelingua esteri, cosa che non mi risulta.

Ho sentito dire che questa storia del 30% si applica nel caso in cui un cittadino
non residente in Italia effettui una prestazione in Italia, ma qualcuno mi potrebbe dire dove è scritto?
GRAZIE!
Ilde


[Edited at 2003-12-07 11:03]
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Giacomo Camaiora (X)
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Un'opinione Dec 7, 2003

Ilde Grimaldi wrote:
"l’art. 25 DPR 600/73 ... stabilisce l’obbligo per il sostituto d'imposta, che corrisponde compensi, comunque denominati, per prestazioni di lavoro autonomo a soggetti non residenti, di operare la ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 30 per cento"

quello che desidererei, non capendoci molto, è proprio trovare le frasi che smentiscono ciò).

[Edited at 2003-12-07 11:03]



Provo io a smentire, anche se con le virgolette, perché non sono un commercialista.

- Il Signor (A) ha svolto un lavoro in UK, inoltre risiede stabilmente in UK, esercita la sua attività di freelance in UK, riceve regolarmente i pagamenti delle fatture in una banca UK, è iscritto ad un albo UK, ...., allora il Signor (A) è un soggetto fiscalmente inglese che ha maturato un reddito in UK, per cui la legge italiana non ha nulla da dire; in particolare il fisco italiano non può pretendere di ricavare delle tasse da lavoro svolto in paesi stranieri da professionisti stranieri.



Il D.P.R. sopra citato è coerente con il principio che "si paga le tasse dove si matura il reddito"; quindi se un consulente residente all'estero collabora più o meno intensamente per una stabile organizzazione italiana, il suo reddito è di fatto maturato in Italia, e la legge italiana è così autorizzata a disciplinarne il comportamento fiscale; tra cui imporgli un sostituto d'imposta italiano (cosa in generale assurda per uno straniero). Però, il consulente residente all'estero deve dimostrare (al fisco del paese di residenza) di avere preso un aereo e avere soggiornato in Italia per il tempo necessario a svolgere la sua attività. Non solo, deve dimostrare di non essere un semplice trasfertista che nel contesto di una sua attività abituale va ad eseguire una prestazione fuori sede.



Solo una personale opinione
Giacomo


 
Ilde Grimaldi
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non paghi se ottieni dal collaboratore due certificati Dec 7, 2003

Giacomo Camaiora wrote:
Però, il consulente residente all'estero deve dimostrare (al fisco del paese di residenza) di avere preso un aereo e avere soggiornato in Italia per il tempo necessario a svolgere la sua attività.


Appunto, il mio commercialista dice che posso evitare di pagare 'sto 30% se la persona residente all'estero con cui ho collaborato mi presenta due documenti:
1) non ricordo......, credo una dichiarazione personale di essere residente all'estero e pagare lì le tasse
2) certificazione dell'ufficio delle imposte del paese estero in questione che afferma che tale persona è soggetta alle imposte in tale paese

Io per ora mi sono scocciata di chiedere alle persone questi due documenti, perché davvero non ho mai sentito in giro questa cosa, allora, visto che
a) molti colleghi sono unanimi nel dire che la tesi del mio commercialista è sbagliata
b) io sono incapace di trovare (in rete) dei riferimenti di legge contrari a quanto afferma il mio commercialista (io sono incapace anche di trovare il testo completo di questo DPR),
mi auguro che qualcuno tra voi li abbia, li trovi o quando riapriranno gli uffici riuscirà ad estirpare al suo commercialista il riferimento di legge, così avrei risolto i miei problemi

grazie, Ilde



[Edited at 2003-12-07 17:49]


 
Giacomo Camaiora (X)
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Ma, non sei mica l'agente 007 fiscale Dec 7, 2003

Ilde Grimaldi wrote:
Appunto, il mio commercialista dice che posso evitare di pagare 'sto 30% se la persona residente all'estero con cui ho collaborato mi presenta due documenti:



Potresti chiedre il certificato di iscrizione all'AIRE (Associazione Italiana Residenti Estero) con cui potresti attestare che stai collaboarando con soggetti fiscalmente stranieri.

Giacomo




[Edited at 2003-12-07 20:52]


 
Giuliana Buscaglione
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Evviva l'autocertificazione Dec 8, 2003

Giacomo Camaiora wrote:
Potresti chiedre il certificato di iscrizione all'AIRE (Associazione Italiana Residenti Estero) con cui potresti attestare che stai collaboarando con soggetti fiscalmente stranieri.
Edited at 2003-12-07 20:52]


Ciao Giacomo,

non credo che l'ufficio A.I.R.E. dei consolati emetta un tale certificato, anche perché siamo in tempi di autocertificazione, tanto che i funzionari sono "perseguibili" (semplificando il testo della legge che disciplina l'autocertificazione), se non accettano autocertificazioni. Non vedo come un non funzionario, quindi un privato che agisce in proprio nome, abbia diritto di chiedere cose del genere ad un altro privato. Se si trattasse di un modulo ufficiale, simile a quello che i non soggetti alla tassazione USA compilano per i soggetti USA di tassazione, allora accetterei, perché è anche ben definito a che cosa è destinato, ma il resto mi sembra una versione moderna di Inquisizione. Penso che mi prenderebbero per matta in Consolato, visto che c'è scritto nella mia carta di identità (proprio "iscritta all'A.I.R.E.") e nel passaporto è riportato il Consolato di emissione. Inoltre, gli Italiani residenti all'estero sono stati censiti di recente e sono iscritti anche nel Comune di nascita all'ufficio A.I.R.E. Insomma, lo Stato italiano (e quindi anche il Fisco) ha tutte le carte per andarsi a controllare se le affermazioni su un cittadino sono veritiere o no. Sono convinta che basta schiacciare un tasto che si vedono vita, morte e miracoli di ciascun cittadino e questo mi immagino anche a livello Schengen.
Mi sembra che si faccia il contrario di ciò che l'autocertificazione auspicava ossia la riduzione del volume delle carte.

Mah...

Giuliana


 
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Hai ragone, però .... Dec 8, 2003

Giuliana Buscaglione wrote:
...... perché siamo in tempi di autocertificazione, tanto che i funzionari sono "perseguibili" ......



Ciao Giuliana,

In teoria hai ragione, infatti io avevo intitolato il mio precedente intervento "Ma, non sei mica l'agente 007 fiscale ", tuttavia conviene sempre pararsi le spalle il più possibile. Infatti, se i collaboratori dichiarassero il falso, si corre rischio di passare per complici di un gioco teso a frodare il fisco.

Io ho citato il certificato AIRE perchè è una soluzione standard usata da molte aziende, ma un sistema ancora più semplice è quello di richiedere il codife fiscale locale, cioè quello del paese di residenza; lo si trova scritto nella dichiarazione dei redditi effettuata nel paese europeo dove si risiede. Se non è un crimine chiedere il codice italiano a chi vive in italia, può essere accettabile domandare quello straniero a chi dichiara di essee fiscalmente straniero.

Vorrei aggiungere che il certificato AIRE non è diffice da ottenere, a suo tempo riuscii ad averlo dal consolato in tre giorni, tramite posta.


Giacomo




[Edited at 2003-12-08 19:32]


 
Ilde Grimaldi
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testo Dec 11, 2003

Ecco il testo del libro su cui leggeva il mio commercialista:


555 Redditi di lavoro autonomo (art. 25 c. 2 DPR 600/73)
Il soggetto che li eroga per prestazioni effettuate in Italia deve applicare una ritenuta a titolo definitivo del 30% anche se la prestazione di lavoro autonomo è svolta sotto forma di società professionale non residente. Fanno eccezione i compensi non superiori a euro 25,82 (sempre che non siano acconti di importi maggiori) corrisposti da enti non
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Ecco il testo del libro su cui leggeva il mio commercialista:


555 Redditi di lavoro autonomo (art. 25 c. 2 DPR 600/73)
Il soggetto che li eroga per prestazioni effettuate in Italia deve applicare una ritenuta a titolo definitivo del 30% anche se la prestazione di lavoro autonomo è svolta sotto forma di società professionale non residente. Fanno eccezione i compensi non superiori a euro 25,82 (sempre che non siano acconti di importi maggiori) corrisposti da enti non commerciali per prestazioni di lavoro autonomo occasionali.

556 I compensi corrisposti __da un residente ad un non residente per prestazioni effettuate all'estero__ non sono assoggettabili alla ritenuta se chi corrisponde i compensi sia in possesso dei seguenti documenti (Ris. Min. 3 febbraio 1977, n.12/62):
- dichiarazione rilasciata dal soggetto percettore da cui risulti l'effettuazione della prestazione all'estero
- certificazione da parte dell'Ufficio delle imposte del luogo di residenza del lavoratore di essere soggetto passivo in tale paese.
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Fattura a freelance italiano da cittadino italiano residente in UK






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