Deborah,
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Regards
Simon
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I Novissimi sono, nel linguaggio teologico, le ultime cose, cio� gli ultimi destini irrevocabili dell'uomo e dell'universo:
1. Morte
2. Giudizio
3. Inferno
4. Paradiso
Questi quattro comprendono anche il Purgatorio, la Fine del mondo e la Resurrezione dei corpi. L'importanza dei fini ultimi - specialmente riguardo alla salvezza eterna - fa s� che la Chiesa li proponga spesso alla meditazione dei fedeli: �Meditare novissima tua et in �ternum non peccabis� (Eccli., VII. 40). I quattro novissimi - come si dimostrer� pi� oltre - sono verit� di fede rivelata. La teologia che tratta dei Novissimi si chiama Escatologia (studio delle ultime cose).
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II. LA MORTE
La morte � la separazione dell'anima dal corpo, per cui si dissolve l'unione vitale del composto umano. Solo il corpo muore, cio� si scompone nei suoi elementi: l'anima � immortale, poich� - come spirito - � semplice e indecomponibile.
La morte del corpo � dunque naturale, come la morte di qualunque altro essere materiale; per�, nel presente stato di cose, la morte � anche pena del peccato originale. Dio infatti aveva arricchito del privilegio preternaturale dell'immortalit� i nostri progenitori e con loro tutti i discendenti (Sap. II, 23). Con la trasgressione del comando divino (Gen. II, 17) si introdusse nel mondo la morte (Rom. 5, 12).
Eccettuati i casi di resurrezione di cui parla il Vangelo e quelli attestati dalla storia, si muore una volta sola: dopo di che avviene il giudizio irrevocabile, che fissa o destini di ognuno per l'eternit� (Heb. 9, 27).
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III. IL GIUDIZIO
Il giudizio � la sentenza irrevocabile che Dio pronunzier� su ciascuno dopo la morte, onde assegnare il premio o il castigo che l'uomo si � meritato. Il giudizio � duplice: particolare ed universale.
A. IL GIUDIZIO PARTICOLARE
Il Giudizio particolare avviene per ogni anima subito dopo la morte ed in esso si fisser� per sempre il destino di ognuno, senza che vi sia pi� luogo a penitenza. Questa dottrina � affermata e definita nel Concilio Lionese II (1274), nella Bolla Benedictus Dominus di Benedetto XII (1336) e nel Concilio Basileense-Ferrarese-Fiorentino (1431-1439). In questi documenti si afferma che i giusti ed i malvagi saranno subito (mox) ricevuti o nel Paradiso o nell'Inferno; ci� suppone evidentemente un giudizio discernitivo. Anche la Sacra Scrittura � chiarissima in merito: �E' stabilito che gli uomini vivano una volta sola, dopo di che ci sar� il Giudizio� (Heb. 9, 27 e Lc. 16, 19-31; II Tim. 1, 23; ibid. 4, 6-8).
La Tradizione, fin dal IV sec., insegna chiaramente che un Giudizio seguir� alla morte di ognuno. Sant'Agostino distingue con precisione un primo Giudizio, quando le anime escono dai loro corpi, ed un altro quando si riuniranno ad essi (De anima et ejus origine, II. c. 4, n. 8). Sant'Ilario specifica che con il Giudizio inizia la retribuzione: �Il giorno del Giudizio � la retribuzione eterna della felicit� o della pena� (Tract. super Psalmos, II, 49).
In questo Giudizio non vi sar� nessuna discussione, come avviene invece nei giudizi umani: l'anima, internamente illuminata, vedr� tutti i suoi meriti o demeriti, intuir� la sentenza del Giudice e da se stessa, come seguendo il peso del suo destino, la mander� ad effetto.
B. IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Avverr� alla fine del mondo, dopo la generale resurrezione dei morti, quando tutti gli uomini compariranno davanti al tribunale di Cristo, per attestare che Egli � il trionfatore dei secoli. E' questa una verit� di fede, contenuta nei vari Simboli: �judicare vivos et mortuos�. Cristo stesso nel suo Vangelo ce ne d� un'impressionante descrizione (Mt. 15); San Paolo ne parla pi� volte (Rom. 14, 10; II Cor. 5, 10; II Thess. 1, 2; II Tim. 4, 1 ecc.). Sant'Agostino si dilunga molto su questa verit� nel De civitate Dei (XX, c. 30).
La persona del Giudice sar� Cristo Uomo, il quale comparir� sulle nubi del cielo, accompagnato dai suoi Angeli, con grande potenza e maest�: esaminer� tutta la vita morale di ognuno, che sar� probabilmente resa nota a tutti, e con una illuminazione manifester� la sentenza finale, che aprir� per sempre ai predestinati le porte del Paradiso ed ai reprobi quelle dell'Inferno (Mt. 25, 46).
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IV. L'INFERNO
L'esistenza dell'Inferno, ampiamente testimoniata dalla Sacra Scrittura, � dogma di fede, gi� presente nella Fides Damasi e nel Simbolo Atanasiano. Fu definita nel Concilio Lateranense IV (1215), nel Concilio Lionese II (1274), da Benedetto XII nella Costituzione Benedictus Deus (1336) e nel Concilio Fiorentino (1439).
L'esistenza dell'Inferno � testimoniata nell'Antico Testamento: Is. 66, 23-24; Judit. 16, 20-21; Dan. 12, 1-2; II Mach. 7, 1-39 e nel Libro della Sapienza, 5, 14 e con maggiore insistenza e chiarezza nel Nuovo Testamento, da Ges�: Mt. 5, 27; Mc. 9, 43; Mt. 18, 8; Lc. 16, 19-31; Mt. 25, 41. E ancora II Petr. 2, 4; Jac. 3, 6; Rom. 6, 21; Apoc. 18.
La ragione stessa comprende che Dio deve proporzionare - nella Sua infinita Giustizia - il premio ai buoni ed il castigo ai cattivi. L'annichilazione del peccatore non sarebbe una pena giusta e proporzionata, perch� eliminerebbe lo stesso soggetto che deve riparare l'offesa fatta a Dio.
A. LE PENE DELL'INFERNO
Le pene dell'Inferno sono quelle del danno e del senso.
La pena del danno consiste nella privazione di Dio e di ogni altro bene a Dio connesso: �Discedite a me, maledicti� (Mt., 25, 41; cfr. anche Mt. 7, 23; I Cor. 6, 9; Gal. 5, 19-22). Corrisponde al rifiuto che il peccatore ha fatto di Dio quale fine ultimo della sua vita e costituisce la massima pena: �Peccatum mortale meretur carentiam visionis divin�, cui nulla alia poena comparari potest� (S. Tommaso, Summa th., II, q. 88 ad 2).
La pena del senso � la sofferenza che deriva da un agente esterno e che corrisponde al cattivo uso che si � fatto delle creature. Il fuoco dell'Inferno � reale e non metaforico (Origene, Gaetano Catarino, M�hler, Keel, Doms, oltre Calvino). Nel Nuovo Testamento il fuoco dell'Inferno � ricordato almeno 23 volte, sempre in senso proprio; � paragonato al fuoco di Sodoma (II Petr. 2, 6) e chimato gehenna, o fuoco della gehenna, fuoco che bruciava i fanciulli offerti a Moloch nella valle Hinnom; la parabola della zizzania � spiegata in senso proprio (Mt. 13, 30-42) e di fuogo si parla nella sentenza finale.
Cos� � stato costantemente inteso dalla Tradizione e dall'insegnamento della Chiesa, che ha condannato le idee dello Schell (all'Indice, 15.XII.1898) e gli opuscoli del Mivart (S. Offizio, 14.VII.1898); una disposizione della Sacra Penitenzieria (30.IV.1899) vieta di assolvere come positivamente indisposti i derisori del fuoco reale dell'Inferno. La sentenza contraria � almeno temeraria (vedi le Note teologiche).
Come il fuoco materiale possa tormentare gli spiriti viene variamente spiegato: San Tommaso dice �per modum alligationis� (De Veritate, q. 26, ad 1; C. Gent. 4, 90; Summa Theol., III; Suppl. q. 70 ad 3); secondo il Lessio, �per virt� particolare ricevuta da Dio� (Perfectionibus moribusque divinis, 13, 30, 216) e Sant'Agostino scrive: �Quamvis miris tamen veris modis etiam spiritus incorporeos potest poena corporalis ignis affligere� (De Civitate Dei, 21, 10),
Il rimorso, che strazia e divora come un verme (Mt., 26, 24; Apoc., 9, 6) il dannato, deriva dalla conoscenza della colpa e del bene perduto. Sia la pena del danno che la pena del corpo sono proporzionate al grado delle proprie responsabilit� (Rom., 2, 6: �Reddet unicuique secundum opera sua�), definito nel Concilio Ecumenico Lateranense IV (1215) e da Benedetto XII (1336): �Definiamo che, secondo l'ordine comune voluto da Dio, le anime che muoiono in peccato attuale discendono subito dopo la propria morte all'inferno, dove vengono tormentate dalle pene infernali�.
B. DURATA DELLE PENE
Le pene dell'inferno, come prova la Sacra Scrittura e la Tradizione ininterrotta della Chiesa, sono eterne, senza fine. Dire il contrario, afferma Sant'Agostino, �multum absurdum est� (De Civitate Dei, 21, 32).
La ragione da sola non pu� dimostrare l'eternit� dell'Inferno, ma ne trova il fondamento:
1. nell'efficacia della Legge Divina, che non otterrebbe il suo scopo - e il peccato trionferebbe - se la pena non fosse eterna;
2. nella necessit� di un termine quanto alla possibilit� di raggiungere il fine ultimo, se non si vuol rendere Dio dipendente dal capriccio dell'uomo;
3. nell'offesa fatta a Dio, che � infinita in quanto l'offeso, Dio, � infinito
L'eternit� dell'Inferno non contraddice l'amore infinito di Dio, perch� l'Inferno � la scelta fatta liberamente dall'uomo, rifiutando colpevolmente l'amore infinito di Dio.
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V. IL PARADISO
Il Paradiso � lo stato ed il luogo della suprema beatitudine, in cui gli Angeli buoni ed i giusti godono della visione immediata di Dio. Questa espressione � analogica, dal termine persiano pairidaeza, passato al greco par�deisos, cio� giardino di delizie, presente gi� in Senofonte; la ritroviamo nel testo masoretico e nella versione dei Settanta.
Non si conosce quale sia la sede del Paradiso, anzi si pu� forse dire che esso sia un mutamento di stato, oltre che un luogo determinato. San Paolo dichiara che �n� occhio vide n� orecchio ud�, n� entr� mai nel cuore dell'uomo quali cose abbia Dio preparato per coloro che lo amano� (I Cor. 2, 9; cfr. Is., 64, 4).
Il Paradiso � il luogo e lo stato di delizie delle quali tutti i giusti godranno per tutta l'eternit�, in una felicit� sovrannaturale e perfetta, nel possesso di Dio, nella fruizione della visione beatifica (Matth. 5, 8; I Cor. 13, 12), e ci� risulta anche dai documenti del Magistero (�Exutas corporibus animas intueri clare Deum ipsum Trinum et Unum�, Conc. di Ferrara-Firenze in Decr. Unionis; cos� pure Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus). Sant'Agostino riassume questo stato perfetto di gioia in tre termini: vacabimus, videbimus, amabimus. Le nostre facolt� saranno completate in Dio, supremo Bene ed ultimo fine cui l'uomo pu� giungere solo in virt� della Grazia.
In Paradiso vi saranno �tutti i beni senza alcuna sorta di male� (Cat. Rom.); si distingua per� tra beni essenziali e beni accessori. I beni essenziali derivano dal possesso immediato di Dio; in Paradiso la fede sar� sostituita dalla luce della gloria (I Cor. 13, 8-13), abito sovrannaturale che rende l'intelligenza immediatamente capace di vedere Dio com'� in Se stesso; non solamente - come in questa vita - per speculum in �nigmate, attraverso le creature che di Lui recano un vestigio di bellezza, ma Dio stesso, per Se stesso, interamente, in modo immediato ed intuitivo, pi� o meno perfetto, s'intende, secondo i meriti di ciascuno. Non mai per� in modo totalmente comprensivo, perch� Dio, infinitamente conoscibile in Se stesso, non potr� mai essere conosciuto infinitamente da un'intelligenza creata. In questa visione di Dio, secondo i Tomisti, consiste l'essenza fondamentale della beatitudine celeste. Da questa visione deriva nei giusti un sommo amore di Dio, amore pi� o meno perfetto secondo il grado della visione, ma indefettibile, perch� la visione divina produce necessariamento l'impeccabilit�; amore che in eterno si espander� in lodi e ringraziamenti a Dio. Da questa visione e da questo amore deriva infine una felicit� perfetta, una gioia infinita, che � la partecipazione alla felicit� stessa infinita di Dio.
Beni accessori sono invece quelli che il corpo glorificato godr� insieme all'anima, di cui � stato compagno nei dolori della vita; ciascuno dei sensi godr� - secondo la sua natura - delle pi� pure delizie.
Ci si � spesso chiesti se in Paradiso permangano gli affetti umani. La sentenza pi� comune � quella che - fondandosi sulla natura universale della carit� - afferma che nulla di ci� che � buono (l'affetto per i congiunti, per gli amici) andr� distrutto, ma sar� piuttosto purificato, ingrandito, fortificato, e messo in perfetta armonia con l'amore immenso di Dio. Anche la sacra Liturgia appoggia quest'interpretazione laddove, nella colletta per i genitori defunti di un sacerdote, fa dire: �Meque eos in �tern� claritatis gaudio fac videre�.
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VI. IL PURGATORIO
I. NOZIONE
Come sostantivo (gr.: kathart�rion oppure purgat�rion, lat. purgare) questo nome si trova usato gi� dagli Occidentali nel secolo XI con Ildeberto Cenomanense. Nei secoli precedenti n� la Sacra Scrittura n� la Tradizione usano esplicitamente questo vocabolo, per quanto Sant'Agostino e San Gregorio Magno usino espressioni equivalenti. Pi� tardi, specialmente nel secolo XIII, consacrato dall'uso, il termine Purgatorium viene adibito nel Concilio di Ferrara-Firenze, contrariamente ai Greco-russi.
In questo senso il Concilio di Ferrara-Firenze e quello Tridentino (Sess. XIV, 3.XII.1563) hanno definito l'esistenza del Purgatorio come �pena temporale dovuta ai peccati gi� rimessi, per quanto sia certo che valga anche per i peccati veniali non rimessi i nquesta vita�. Questa definizione dogmatica � comprovata dall'autorit� di passi autorevolissimi dell'Antico Testamento (II Mach. 12, 43-46) e del Nuovo (Matth. 5, 26; 12, 32), dall'Apostolo San Paolo (I Cor. 3, 13 sgg.); � corroborata infine dalla testimonianza dell'antica archeologia cristiana con varie iscrizioni al riguardo.
Il Purgatorio si impone alla ragione perch� � certo che nessuno viene ammesso al cospetto di Dio che non sia puro (Apoc. 21, 27); necessita quindi di uno stato o luogo di espiazione, dove le anime amiche di Dio e sue debitrici, mediante pene o suffragi, si possono purgare dalle scorie temporali e diventar degne di salire al cielo.
I teologi discutono molto circa il luogo, la qualit� e l'intensit� delle pene, il fuoco e la sua potenza, ma la Chiesa, mostrandosi aliena da ogni sottigliezza (cfr. Decr. De Purgatorio), riduce a due i punti essenziali della dottrina cattolica sul Purgatorio:
1. l'esistenza del Purgatorio, cio� di un luogo o stato penoso e transitorio dove le pene avranno la propriet� di essere espiatrici o purificatrici dell'anima;
2. la possibilit� di aiutare le anime del Purgatorio mediante i suffragi della Chiesa, ossia attraverso le opere meritorie personali e soprattutto mediante il santo sacrificio della Messa.
La dottrina sul Purgatorio � stata trattata magistralmente da Santa Caterina da Genova.
II. NEGATORI DEL PURGATORIO
Oltre ad alcuni Ariani con Aezio, furono i Petrobrusiani, i Valdesi, gli Albigesi, gli Ussiti ed infine Lutero, che - seppure incoerente con se stesso - insegna varie tesi in opposizione al cattolicesimo. Calvino erige a sistema la mentalit� di Lutero, definendo il Purgatorio �esiziale invenzione di Satana, ordinata a rendere vana la Croce di Cristo�. Invece i pi� recenti tra i Protestanti tengono una posizione meno rigida.
Si sente affermare da un dotto valdese, G.B. Ottonello, che �sebbene il catechismo valdese non contempli l'esistenza del Purgatorio, non esiste per� da parte nostra alcun formale divieto di ammetterne l'esistenza possibile� (cfr. Fides, n. 43, pag. 167) Il Breve catechismo evangelico dice a proposito: �E' probabile che coloro ai quali non giunse l'offerta della salvezza in questa vita terrena ricevano, dopo la morte, da Dio, l'opportunit� di conoscere e accettare il dono della vita�; evidentemente non si tratta del Purgatorio, ma si stabilisce un principio suscettibile di rendere pi� accetto ai Protestanti il concetto di Purgatorio.
Si dice comunemente che tra i fedeli delle chiese separate d'Oriente non vi � la credenza nel Purgatorio; � meglio dire che non hanno idee troppo chiare. Secondo loro, chi muore nemico di Dio viene condannato all'Inferno, prima con pene provvisorie, definitive dopo l'estremo giudizio; le altre innumerevoli anime, non completamente perverse, vanno anch'esse all'Inferno, cio� in una specie di limbo con varie gradazioni di pene, dal quale vengono liberate non in forza di una loro soddisfazione, ma soltanto in virt� della santa Messa e delle preghiere dei fedeli. Gli Orientali non ammettono quindi il Purgatorio in senso cattolico, ma la loro liturgia lo suppone. �La chiesa ortodossa distingue due stati nell'aldil�: la beatitudine del Paradiso [...] e certe pene da cui l'anima pu� essere liberata grazie alla preghiere della chiesa e ad un mutamento interiore. [...] La chiesa ortodossa non conosce il Purgatorio in quanto luogo o stato particolare, non essendovi fondamenti biblici o dogmatici per ammettere l'esistenza di un terzo luogo; tuttavia non si pu� negare la possibilit� di uno stato di purificazione� (Bulgakov, L'Orthodoxie; l'autore si pone in forte antitesi rispetto alla Chiesa cattolica).
� Sul Lungotevere Prati a Roma si pu� visitare il Museo del Purgatorio, nella sede della Confraternit� del Sacro Cuore del Suffragio. Vi si vedono oggetti con le impronte chiare e distinte di dita arroventate, croci e altri segni, lasciati dalle anime purganti in circostanze diverse. Naturalmente non vi si deve prestare pi� che fede umana; la loro attendibilit� � solo in funzione della credibilit� di quelle persone che affermano di averle ricevute in visioni o locuzioni. Sarebbero pi� attendibili se suffragate da atti dell'Autorit� ecclesiastica.
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VII. LA FINE DEL MONDO
Propria della tradizione giudaica e cristiana - e delle religioni che a questa si richiamano -, l'escatologia � elemento essenziale della fede, testimoniato dalla Sacra Scrittura (in particolare Mt. 13, 39 sgg; ibidem, 24 e 28; I Cor. 15, 24-28; Apoc. 20-22) e dalla Tradizione patristica. La Fine del mondo si compone di alcune fasi certe:
1. la Resurrezione dei morti
2. la Parus�a
3. il Giudizio universale
Non si conoscono le modalit� con cui avverr� la fine del mondo, n� il momento in cui essa giunger�. Nella Scrittura si parla di alcuni segni premonitori: sconvolgimenti cosmici, politici, sociali, morali e religiosi. Si parla anche di persecuzioni e di massacri, del trionfo dell'iniquit�, del Regno dell'Anticristo, di immani cataclismi per il creato. Alla fine, la comparsa del Figlio dell'Uomo, Ges� Cristo, che verr� a giudicare i vivi e i morti.
Lo spettro della fine del mondo, di cui il Millenarismo fu espressione, port� anche nella predicazione ad indulgere in forme di esasperazione, per cui la Chiesa intervenne d'autorit�, nel Concilio Lateranense V (1516), con la Bolla Supern� Majestatis di Leone X, interdicendo rigorosamente ai predicatori di turbare i fedeli con minacce e predizioni senza fondamento.
In ogni caso � certo che la fine sar� repentina ed improvvisa, come il diluvio, e quindi ad ognuno incombe l'obbligo di vegliare per essere sempre pronto. Tanto pi� che la morte di ciascuno in particolare rende praticamente imminente, certissima e subitanea questa fine.
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VIII. LA RESURREZIONE DEI CORPI
Con l'espressione resurrezione dei corpi si intende la riunione sostanziale dell'anima con il corpo dopo la morte. Fu gi� negata in antichit�, non solo dalla dottrina platonica che affermava che l'anima giunge alla sua perfezione solo liberata dalla schiavit� del corpo, ma anche dalla setta ebraica dei Sadducei (Matth. 22, 23), da molti gnostici, dai Manichei e pi� tardi dagli Albigesi e dai Sociniani.
La Chiesa cattolica afferma invece la resurrezione della carne come dogma di fede necessario per la salvezza, contenuto in un articolo del Simbolo Apostolico: �Credo [...] carnis resurrectionem�; il Concilio Lateranense IV, nel 1215, defin� la resurrezione dei corpi cos�: � [...] Tutti risorgeranno con i propri corpi, che adesso hanno, per ricevere la ricompensa delle loro opere buone o cattive�. La resurrezione sar� quindi universale (I Thess. 4, 15; Joh. 5, 28).
Tali verit� sono contenute con limpidezza nella Sacra Scrittura e in tutta la divina Tradizione. Nell'Antico Testamento l'idea della resurrezione progredisce da un'oscura ed imprecisa affermazione (Job 19, 23-26; Is. 26, 19; Ez. 37, 1-14; Dan. 12, 2) fino all'esplicita sua dichiarazione (II Mach. 7, 1-13 e 12, 39-46). Il Nuovo Testamento poi non lascia dubbi: Nostro Signore afferma la resurrezione dei corpi con esattezza contro i Sadducei (Matth. 22, 30-32) e in occasione della resurrezione di Lazzaro (Joh. 11, 1-44; cfr. 5, 29; 6, 55). San Paolo argomenta la nostra resurrezione da quella del Signore, Capo del Corpo mistico (I Cor. 15, 1-44; cfr. Thess. 4, 13-15 ecc.) e dall'inabitazione in noi dello Spirito Santo, che risuscit� da morte il Signore (Rom. 8, 11).
La resurrezione dei corpi non � un fatto naturale, non essendovi nella natura umana alcun principio arrivo di resurrezione; essa � piuttosto miracolosa, perch� dipende unicamente dalla potenza di Dio. Se la resurrezione non pu� essere dimostrata con meri criteri di ragione, si pu� altres� considerare la convenienza di questa verit� di fede:
1. la natura umana � nella sua essenza costituita di anima e corpo, per cui non pu� raggiungere in modo perfetto il suo fine se il corpo si dissolve per sempre e l'anima sola sussiste;
2. il corpo � strumento dell'anima nelle azioni buone e cattive, per cui � giusto che partecipi al godimento o alla pena eterna;
3. la Redenzione di Cristo si estende a tutto l'uomo e quindi anche al suo corpo
4. il corpo che l'anima riprender� nel giorno della Resurrezione sar� lo stesso che le appartenne in questa vita (II Mach. 7, 11; I Cor. 15, 53), privato per� di tutte le sue imperfezioni. Questo sia perch� quel corpo che tende verso il fine deve essere lo stesso che lo raggiunge, sia perch� Cristo, causa esemplare della nostra Resurrezione (Phil. 3, 21), risorgendo riprese lo stesso corpo che aveva avuto in vita, strumento della sua Passione (Joh. 20, 27).
Non � per� necessario che ciascuno riprenda tutti gli elementi gi� appartenuti al proprio corpo, ma solo quelli - indubbiamente tenuti separati per divina Provvidenza da altri corpi - che siano sufficienti e indispensabili all'integrit� del corpo medesimo. Il corpo dei Beati avr� doti particolari, che i teologi, basandosi su San Paolo (I Cor. 15, 42-44) riassumono a quattro: 1. impassibilit�, 2. splendore, 3. agilit�, 4. sottigliezza.
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VII. IL LIMBO
Questa espressione entra nel linguaggio teologico solo durante il periodo degli Scolastici (limbus = lembo, orlo di un vestito, quasi a designare la sua propinquit� con l'Inferno). E' lo stato ed il luogo di quelle anime che - passate alla vita futura - non hanno personalmente alcuna pena da scontare, n� eterna, n� temporale, ma che tuttavia non possono essere ammesse alla gloria del Paradiso.
E' questo propriamente il Limbus puerorum (Limbo dei fanciulli) e di tutti coloro che, anche se adulti, muoiono senza mai aver acquistato l'uso della ragione e senza aver potuto ottenere la remissione del peccato originale mediante il Battesimo. Secondo l'opinione del card. Billot, sono assimilabili ai fanciulli non solo gli adulti anormali in fatto di ragione, ma anche coloro che hanno un rudimentale grado di civilt� e di sviluppo della coscienza religiosa e morale, come ad esempio i primitivi.
Il Limbo esisteva prima di Cristo, esiste al presente ed esister� anche dopo il Giudizio universale. Prima di Cristo esisteva pure il Limbus patrum (Limbo dei padri), che accoglieva le anime dei giusti migrate da questa vita prima della morte redentrice di Nostro Signore. Tale Limbo fu abolito per sempre dopo che Ges� vi discese (�descendit ad inferos�) per liberarvi tutte le anime col� prigioniere, prime di esse quelle dei progenitori Adamo ed Eva.
Riguardo alla sua natura, si deve ritenere il Limbo non � un luogo o uno stato di beatitudine soprannaturale, per� � sentenza comunissima che non vi si soffre alcuna pena. Anzi San Tommaso ed altri teologi ammettono che nel Limbo le anime avranno uno stato di beatitudine naturale, di cui � capace e a cui tende la natura anche non elevata all'ordine soprannaturale; quelle anime che sono prive della visione beatifica, non ne sentono la mancanza, perch� non ne hanno la cognizione e perci� non ne provano alcun desiderio.
Come sentenza ammessa dalla Tradizione e dai Pontefici, ancorch� non si tratti di un dogma di fede, negare l'esistenza del Limbo � gravemente temerario (cfr. Note teologiche, censure).