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Italian to Spanish: Crudele Amore Mio, Salvatore Garau
Source text - Italian
E’ finita.
Ormai non c’è più tempo per i ripensamenti, gli restano solo pochi secondi.
Prima di tirare lo spago verso di sé guarda ancora dentro quei neri tunnel. Si aggiusta gli occhiali, quasi per mettere a fuoco le immagini che emergono dal fondo. Sono lampi, fosforescenti come santi, i ricordi che scorrono veloci davanti agli occhi; gli ultimi dieci anni da quell’ultimo giorno di scuola. Ha paura. Ma sta composto, immobile, come di fronte ai fotografi di una volta.
“Ponte Rosellina!”.
Eccola la vocina. Ancora gli procura freddo terrore e insieme una vampata di incontrollabile erotismo, che ormai, a questa età, gonfia e brucia solo le cellule del cervello.
“Ponte Rosellina...!”.
Mario Solinas non può più reggere. Prova a distrarsi pensando al suo basilico che viene su così profumato grazie alle ossa che vi riposano proprio sotto; non c’è stato niente da fare, quest’idea non se l’è mai tolta.
Deve tirare lo spago. Ora!
Quell’ultimo giorno di scuola sarebbe stato anche l’ultimo giorno di scuola della sua vita. Il professor Mario Solinas andava in pensione.
Sul piazzale antistante la scuola media Eleonora d’Arborea di Oristano, il professore riceveva i saluti affettuosi dei colleghi. Dopo trentacinque anni di onorato servizio, l’uomo più amato della scuola aveva terminato il suo ciclo come meglio non si sarebbe potuto pretendere.
Ogni tanto il cerchio dei colleghi che gli si faceva intorno veniva spezzato da un gruppo di allievi che, a loro volta, e in modo piuttosto chiassoso, portavano i saluti al professore.
Mario Solinas faticava a essere spontaneo e naturale come sempre era stato. Una strana piega della bocca lo disponeva al pianto, ma riusciva a trattenersi in un sorriso forzato.
Il caldo di giugno gli imperlava la testa pelata, e delle gocce di sudore andavano a mascherare qualche lacrima di commozione che proprio non riusciva a non mostrarsi. Piccolo di statura, veniva quasi sommerso da ragazzi e ragazze di seconda e terza media, alcuni decisamente più alti di lui.
Si fece largo Francesco, un ragazzo inizialmente considerato timidissimo e quasi stupido, ma il professor Solinas aveva fatto ricredere tutti su di lui.
“Professore! Questo è un piccolo regalo per lei a nome di tutta la terza B”, gridò, facendo spuntare un pacchetto ben involto e nastrato. L’insegnante prese il regalo pensando che forse, adesso, sarebbe stato proprio difficile frenare la commozione. Fece per aprire il pacchetto, “No! No! Non qui!”, quasi implorò Francesco. “E' una piccola cosa, lo apra più tardi, a casa sua”.
“Grazie, grazie tante”, finalmente riuscì a dire il professore, ma il grazie era per avergli evitato di sfogare le lacrime davanti a tutti.
Al bar il preside offrì un giro di aperitivi. Mario Solinas volle ripetere il giro. Lui, anche se non era astemio, due Campari a stomaco vuoto non ricordava di averli mai bevuti.
Lasciando Oristano per recarsi a Riola, il paese dove era nato e aveva sempre vissuto, gli sembrava, dentro la sua utilitaria, che la cittadina scivolasse ai lati dei finestrini come al rallentatore. Forse era anche l’effetto dei due Campari, ma soprattutto era la malinconia che lo imbalsamava al volante, rendendo l’acceleratore duro da schiacciare. La macchina si trascinava lenta sull’asfalto, quasi non volesse ammettere che quel compito giornaliero di portare il professore a Oristano fosse veramente concluso.
Davanti agli occhi di Mario Solinas si alternavano le facce allegre dei suoi allievi, e sapeva bene che erano così esuberanti anche perché era finita la scuola. Con la destra tastò il sedile di fianco per accertarsi di non aver dimenticato nel bar il regalo della terza B. Si voltò a guardarlo solo per un secondo. Il colpo sordo che sentì davanti all’auto era così stonato da fargli sparire il sangue dalla faccia. Nel momento in cui, istintivamente, schiacciò a fondo il pedale del freno, riuscì giusto a vedere una figura di donna sparire davanti al muso della sua utilitaria.
Come aveva potuto non vederla? Andava talmente piano. Mai, mai gli era successa una cosa simile. Smise di porsi domande. Doveva scendere dalla macchina. Sbatté il ginocchio sulla portiera. Assestandosi gli occhiali sul viso gelato si avvicinò curvo verso quel fagotto immobile e goffamente silenzioso. Inciampò su una scarpa della donna.
“Signora! Signora! Risponda Santo Dio!”, gridava il professore, agitandosi confusamente attorno a quella donna che non dava segni di vita.
S’erano già accostate diverse persone. “Poveretta”, “Ma di chi è la colpa?”. Al professore quelle voci arrivavano come distorte, gli accrescevano l’angoscia. “Un’ambulanza!”, gridò allora, voltandosi verso la piccola folla.
“Stia tranquillo, l’ho già chiamata io”, disse un ragazzo, “arriverà tra pochi minuti”.
La donna fu portata via e la polizia ultimò i rilevamenti. Mario Solinas era ancora in preda all’ansia; voleva subito raggiungere l’ospedale.
Nella sala d’aspetto, mentre attendeva il responso dei medici, si ricordò di telefonare al fratello. Gli raccontò l’accaduto fingendo una certa serenità. Gli disse di non aspettarlo a pranzo; si sarebbe trattenuto ancora in ospedale.
Quando si presentò il medico, Solinas schizzò in piedi sistemandosi gli occhiali.
“Lei è un parente?”
“Sono io che l’ho investita... ma la polizia ha detto che non...”.
“Stia calmo, non è niente di grave. Un forte trauma cranico, ma ha già ripreso conoscenza”.
“Oh, meno male, la ringrazio”.
“Forse c’è una piccola frattura al piede destro, vedremo tra un po’ la lastra”.
“Sì, certo, la lastra”.
“E comunque tratterremo la signora qualche giorno per i controlli del caso”.
“La ringrazio... e, mi dica, quando potrò vederla?”
“Anche subito”, rispose il medico, sbottonandosi il camice e avviandosi. “Ma solo per qualche minuto. Deve riposare”.
“Sì, solo qualche minuto...”.
“E’ in fondo al corridoio, stanza numero sette”.
Attraversando il corridoio il professore cercò un’espressione adatta per presentarsi alla donna; non poco coinvolto in quel piccolo dramma, ma neanche troppo triste. D’altronde sarebbe potuta andare ben peggio.
Comunque, nonostante la colpa non fosse sua – così aveva detto la polizia – si sentiva in parte colpevole. Si accusava di essersi distratto un istante.
Arrivato alla stanza numero sette fu colto da un rigurgito di vigliaccheria. Esitò. Immaginò un’ipotetica reazione della donna, magari aggressiva. Se l’avesse trattato da pirata della strada? Se l’avesse offeso gridandogli tutta la sua rabbia davanti alle altre pazienti? Se... Solinas si asciugò il sudore dalla fronte ed entrò nella camera.
C’erano quattro letti e sembrava che tutte le pazienti dormissero.
“E’ questa la signora che ha avuto l’incidente”, disse la paziente del primo letto a destra, mentre apriva gli occhi al soffitto e voltava lievemente la testa verso il letto accanto.
Il professore fece qualche passo cercando di non farsi sentire. Restò fermo davanti alla donna; ora poteva vedere il viso.
Aveva solo una piccola garza sulla fronte e teneva gli occhi chiusi. Mario Solinas non voleva svegliarla. Lesse sulla testata del letto il nome che la polizia gli aveva detto, ma che si era già dimenticato.
La signora Sanna aprì gli occhi: “E’ lei, vero? Che mi è venuto addosso...?”
Il professore fu preso alla sprovvista: “...Sì, mi dispiace... non so come, io non l’ho vista...”.
“E’ stata colpa mia. Lei non si preoccupi”, disse lentamente la signora.
“E’ che io andavo anche piano... anzi, pianissimo. Non capisco come...”
“Mi dispiace. Non so cosa mi sia successo... Ho attraversato senza guardare, avevo... avevo la testa tra le nuvole”.
“Può capitare sa? L’importante è che non ci sia... gliel’hanno detto i medici che non c’è niente di grave?”
“Sì, fortunatamente. Però mi dispiace per lei. Questo contrattempo...”.
“Lasci perdere”. Solinas accennò un sorriso, ormai si era del tutto rilassato. “Come si dice; tutto è bene quel che...”
”Ma io la conosco sa?”, lo interruppe la donna. “Lei non è forse un professore della Eleonora d’Arborea?”
“Certo! Sono il professor Solinas”.
“Ecco perché... mi sembrava di conoscerla. Mia figlia... mia figlia è stata una sua allieva”.
“Davvero? E...”
“Maria Sanna, si chiama, chissà se la ricorda”.
“Maria, Maria Sanna...”. Il professore aggrottò le sopracciglia.
“Con tutti gli alunni che ho avuto”.
In quel momento entrò un’infermiera: “Per favore, signor... deve uscire. La paziente deve riposare”.
“Certo, mi scusi. Signora Sanna la saluto. Se, se ha bisogno di...”
“Lasci stare, già le ho arrecato abbastanza disturbo. Arrivederla”.
“Comunque la verrò ancora a trovare, tra qualche giorno. Buona guarigione”.
Translation - Spanish 1
Se terminó.
No hay mas tiempo para replanteamientos, le quedan solamente pocos segundos.
Antes de tirar la cuerda hacia si mira aun en el interior de aquellos túneles negros. Se arregla las gafas, para enfocar las imágenes que le afloran desde el fondo. Son relámpagos, fluorescentes, como santos, los recuerdos que fluyen delante de sus ojos; los últimos diez años desde aquel ultimo día de colegio. Tiene miedo. Sin embargo permanece compuesto, inmóvil, como delante de los fotógrafos de una vez.
“ Puente Rosita...!”
Allí estaba la vocecita. Todavía le procura un helado terror junto a una vaharada de incontrolable excitación , que a esta edad, hincha y quema solamente las células del cerebro.
“ Puente Rosita...!”
Mario Solinas no aguanta más. Intenta distraerse pensando en su albahaca que crece tan perfumada gracias a los huesos que descansan justo debajo; no hubo nada por hacer, esa idea nunca se le quitó de la cabeza.
Tienes que tirar de la cuerda. Ahora!
Ese ultimo día de colegio habría sido también el ultimo día de colegio de su vida. El profesor Mario Solinas se jubilaba.
En la plaza enfrente del colegio Eleonora d’Arborea de Oristano, recibía los cariñosos saludos de sus colegas. Después de trentaicinco años de honrado servicio, el profesor más querido del colegio había terminado su ciclo como mejor no se hubiera podido pretender.
De tanto en tanto un grupo de alumnos rompía la ronda de los colegas alrededor del profesor Solinas, para traerle sus llamativos saludos.
Mario Solinas se esforzaba para aparentar espontáneo y natural como había siempre sido. Una extraño guiño de la boca lo disponía al llanto pero lograba aguantarse en una forzada sonrisa.
El calor de junio formaba perlas que se deslizaban sobre su cabeza glabra y unas gotas de sudor ayudaban a esconder alguna lagrima de emoción que no lograba ocultarse. De estatura pequeña, casi lo sumergían chicos de séptimo y octavo, algunos indudablemente más altos que él.
Avanzó Francesco, un chico inicialmente considerado muy tímido y casi estúpido. Pero el profesor Solinas había logrado que todos cambiaran de parecer acerca de el.
“Profesor! Este es un pequeño regalo para usted de parte de todo el octavo curso” gritó haciendo aparecer un paquete adornado con un lazo. El maestro cogió el paquete, pensando que en aquel momento habría sido muy difícil controlar la emoción. Estaba a punto de abrir el paquete.“No! No! No aquí!”, le rogó Francesco. “Es algo pequeño, lo abra más tarde en su casa”.
“Gracias, muchas gracias” pudo decir por fin el profesor, pero las gracias eran por haberle evitado desahogar las lagrimas adelante de todos.
En el bar el director ofreció una ronda de aperitivos. Mario Solinas quiso repetir la ronda. Él, aunque no fuera abstemio, dos campari con el estomago vacío, no recordaba haberlos bebido nunca.
Dejando Oristano para dirigirse hacia Riola, el pueblo donde había nacido y donde había siempre vivido, desde su coche, le parecía que la ciudad se deslizara al lado de las ventanillas como en cámara lenta. Quizás era el efecto de los dos campari, o quizás la melancolía lo inmovilizaba al volante, volviendo el acelerador duro de pisar, el coche se deslizaba lento sobre el asfalto, como no queriendo admitir que aquel deber diario de llevar el profesor a Oristano había verdaderamente concluido.
Delante de los ojos de Mario Solinas se alternaban las caras de los alumnos, tan alegres también por el cierre del año escolar. Con la mano derecha tanteó el asiento de al lado para acertarse de no haber olvidado el regalo del octavo curso en el bar. Volteó la cabeza para mirarlo solo un segundo. El golpe sordo que escuchó adelante del coche sonó tan desafinado que lo hizo palidecer. El momento en el que, instintivamente, pisó el pedal del freno, logró ver apenas una figura de mujer desaparecer delante del morro de su coche.
Como había podido no verla? Iba tan despacio. Nunca, nunca le había ocurrido nada similar. Dejó de hacerse preguntas. Tenia que bajarse del coche. Chocó la rodilla contra la puerta. Arreglándose las gafas sobre el rostro helado se acercó hacia ese bulto inmóvil y silencioso. Tropezó con un zapato de la mujer.
“Señora! Señora! Conteste, Dios santo!”, gritaba el profesor, agitándose confusamente alrededor de aquel cuerpo que no daba señales de vida.
Se habían ya acercado varias personas. “Pobrecita.” “¿Quien tiene la culpa?” . Esas voces, llegaban al profesor como distorsionadas, acrecentaban su angustia. “Una ambulancia!”, gritó entonces, dándose vuelta hacia la pequeña multitud.
“Tranquilo, ya la llamé yo”, dijo un muchacho, “llegará en unos minutos”.
Se llevaron a la mujer y la policía relevó los últimos detalles. Mario Solinas todavía estaba a la merced de la ansiedad; quería llegar enseguida al hospital.
Cuando se presentó el médico, Solinas saltó de pie arreglándose las gafas.
“Usted es un pariente?”
“Soy el que la atropelló…pero la policía dijo que…”
“Quédese tranquilo, no es grave. Un fuerte trauma cránico, ya recobró conocimiento.”
“Oh, menos mal, le agradezco.”
“A lo mejor hay una pequeña fractura en el pié derecho, lo vamos a ver con la radiografía.”
“Si claro, la radiografía.”
“De todas maneras la señora se va a quedar aquí unos días para los controles rutinarios.”
“Le agradezco…y dígame…¿cuando podré verla?”
“Ahora mismo” contestó el médico, desabrochándose la bata y encaminándose. “Pero solo algunos minutos. Tiene que descansar”.
“Si, solo algunos minutos…”.
“En el fondo del pasillo, habitación numero siete”.
Cruzando el pasillo el profesor buscó una expresión adecuada para presentarse a la mujer; indudablemente implicado en ese pequeño drama, pero no demasiado triste.
Por otro lado podría haber ido peor.
Sin embargo, aunque no hubiera sido su culpa, así había dicho la policía, se sentía en parte culpable. Se acusaba a si mismo de haberse distraído por un instante.
Al llegar a la habitación numero siete fue invadido por un arrebato de cobardía.
Vaciló. Se imaginó una hipotética reacción de la mujer, quizás agresiva. ¿Y si lo hubiera tildado de pirata de la calle? ¿Si lo hubiese ofendido gritándole toda su rabia delante de las otras pacientes? Y si… Solinas se secó el sudor de la frente y entró en la habitación.
Había cuatro camas y parecía que todas las pacientes durmieran.
“Esta es la señora que tuvo el accidente”, dijo la paciente de la primera cama a la derecha, mientras abría los ojos y giraba levemente la cabeza hacia la cama de al lado.
El profesor dio algún paso tratando no hacerse escuchar.
Se quedó de pié delante de la mujer. Ahora podía observar su rostro.
Tenia solamente una pequeña venda en la frente y los ojos cerrados. No quería despertarla. Leyó sobre el cabezal el nombre que la policía ya le había dicho y que había olvidado.
La señora Sanna abrió los ojos: “¿Es usted el que me atropelló? ¿Verdad?”
El profesor fue tomado por sorpresa: “Si, lo siento…, no se como, no la vi…”
“Fue mi culpa. Usted no se preocupe”, dijo lentamente la señora.
“Me parecía que iba despacio…es mas, muy despacio. No entiendo como…”
“Lo siento. No se que me pasó. Crucé sin mirar, tenia …tenia la cabeza en la nubes”.
“Puede pasar. Lo importante es que no sea…¿le dijeron ,los médicos, que no es nada grave?”
“Si, afortunadamente. Pero me sabe mal por usted. Este contratiempo…”
“Olvídelo”, Solinas insinuó una sonrisa, se había relajado del todo. “Como se suele decir, bien está lo que…”.
“Pero yo la conozco, ¿sabe?”, lo interrumpió la mujer. “No es usted quizás un profesor de la Eleonora d’Arborea?”
“Claro! Soy el profesor Solinas”.
“ Ahora entiendo…me parecía que le conocía. Mi hija…mi hija fue alumna suya”.
En aquel momento entró una enfermera: “Por favor, señor…tiene que salir. La paciente tiene que descansar”.
“Claro, perdóneme. Señora Sanna, me despido. Si, si necesita algo…”.
“Déjelo, ya le molesté bastante. Adiós”.
“De todas maneras, volveré a visitarla, dentro de algunos días. Le deseo una rápida recuperación”.
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Translation education
Master's degree - Universitá di Roma La Sapienza
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Years of experience: 17. Registered at ProZ.com: Sep 2013.
Laureata in lingue e Letterature (Russo e Portoghese) mi sono specializzata in Traduzione Letteraria e Tecnico-Scientifica. Sono madrelingua di italiano e spagnolo. È da un po di anni che mi occupo di traduzione letteraria e non soslo collaborando con agenzie letterarie, case editrici e piattaforme online.
Attualmenete sto lavorando alla traduzione di un ebook, Crudele Amore Mio di Salvatore Garau pubblicato dalla Newton Compton (eNewton)