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Sample translations submitted: 2
English to Italian: La mediana non è il messaggio General field: Science Detailed field: Science (general)
Source text - English The Median Isn’t the Message, Stephen Jay Gould, PhD
American Medical Association Journal of Ethics, January 2013, vol. 15, n. 1, pp. 77-81.
ORIGINAL AVAILABLE FOR PUBLIC READING HERE:
https://journalofethics.ama-assn.org/sites/journalofethics.ama-assn.org/files/2018-05/mnar1-1301.pdf
Translation - Italian La mediana non è il messaggio
di Stephen Jay Gould
Di recente la mia vita è stata segnata, nel modo più personale possibile, da due noti aforismi di Mark Twain. Uno lo riserverò per la conclusione di questo saggio. L’altro (talvolta attribuito a Disraeli) identifica tre tipologie di menzogna, ciascuna peggiore della precedente: le bugie, le maledette bugie e la statistica.
Consideriamo un esempio tipico di come si possa stiracchiare la realtà con i numeri, una situazione piuttosto rilevante nella mia storia. La statistica riconosce diverse misure della “media”, o tendenza centrale. La media aritmetica è il nostro concetto comune di media, la somma dei valori divisi per il numero dei soggetti (100 caramelle raccolte da 5 bambini ad Halloween fanno 20 caramelle ciascuno, in un mondo equo). La mediana invece, una diversa misura della tendenza centrale, è il punto medio: se ordino 5 bambini per altezza, il bambino mediano è più basso dei due più grandi, ma più alto dei due più piccoli (e questi potrebbero avere delle difficoltà a ottenere la loro porzione media di dolci). Un politico in carica può affermare con orgoglio: “Lo stipendio medio dei nostri cittadini è di $ 15.000 l’anno”. Il leader dell’opposizione può ribattere: “Ma metà dei nostri cittadini guadagna meno di $ 10.000 l’anno”. Entrambi hanno ragione, ma nessuno di loro cita la statistica con obiettività impassibile. Il primo invoca una media, il secondo una mediana (le medie sono maggiori delle mediane in casi del genere perché un milionario può compensare centinaia di poveri nella stima di una media, mentre può bilanciare un solo mendicante nel calcolo di una mediana).
La condizione che genera tipica sfiducia e comune disprezzo nei confronti della statistica è più contorta. Molte persone mettono in atto una misera e inefficace separazione tra cuore e mente, o tra emozioni e ragionamento. In diverse culture contemporanee, spalleggiate da tendenze e stereotipi basati sulla California del Sud, le emozioni sono esaltate come più “concrete” e unici fondamenti per l’azione – se ti fa sentire bene, allora fallo – mentre il ragionamento viene trascurato e accantonato come fuori moda. La statistica, in questa assurda dicotomia, incarna spesso il simbolo del nemico. Come scrisse Hilaire Belloc: “Le statistiche sono il trionfo del metodo quantitativo, e il metodo quantitativo è la vittoria della sterilità e della morte”.
Questa è una testimonianza personale di come la statistica, correttamente interpretata, possa costituire un profondo e rivitalizzante conforto. È una crociata contro il declassamento della ragione tramite un breve racconto sull’utilità dell’arida conoscenza accademica della scienza. Il cuore e la mente sono i punti focali di un solo corpo, di una sola personalità.
Nel luglio del 1982 scoprii di essere affetto da mesotelioma peritoneale, una forma rara e grave di cancro di norma causato da esposizioni ad amianto. Quando mi ripresi in seguito a un’operazione, chiesi subito alla mia dottoressa e chemioterapista: “Qual è la miglior letteratura tecnica sul mesotelioma?”. Lei rispose, con un tocco di diplomazia (l’unica deviazione mai concessa dalla franchezza diretta da parte sua), che la letteratura medica non conteneva alcuna informazione degna di essere letta.
Com’è ovvio, cercare di tenere un intellettuale a distanza dalla letteratura funziona quanto raccomandare la castità all’Homo sapiens, il primate ipersessuale per eccellenza. Non appena fui in grado di camminare, andai dritto alla biblioteca medica di Harvard e digitai “mesotelioma” nel programma di ricerca bibliografica. Dopo un’ora, circondato dalle ultime ricerche sul mesotelioma peritoneale, compresi con un sussulto l’offerta di umanità nel consiglio del mio medico. La letteratura non avrebbe potuto essere più brutalmente chiara: il mesotelioma è incurabile, con una mortalità mediana di soli otto mesi dopo la diagnosi. Rimasi stordito per circa un quarto d’ora, poi sorrisi tra me e me: ecco perché non mi avevano dato nessun opuscolo da leggere. Poi la mia mente ricominciò a funzionare, per fortuna.
Come si dice, se un po’ di conoscenza possa mai essere pericolosa, eccone un chiaro esempio. L’atteggiamento ha di certo un ruolo nella battaglia contro il cancro, anche se non sappiamo perché (secondo la mia prospettiva di materialista vecchio stile, sospetto che lo stato mentale influenzi il sistema immunitario). Se si confrontano individui con lo stesso cancro rispetto a età, classe sociale, salute e condizioni socioeconomiche, in generale coloro che hanno un approccio positivo - una volontà forte e uno scopo per vivere, votati alla fatica, che dimostrano un supporto attivo dei propri trattamenti e non solo una passiva accettazione di quanto dicono i medici – tendono a vivere più a lungo. Alcuni mesi più tardi chiesi a Sir Peter Medawar, il mio guru scientifico personale e immunologo vincitore di un Nobel, quale fosse la miglior ricetta per sconfiggere il cancro. “Una personalità ottimista” mi rispose. Per fortuna (dato che non è possibile ridefinire sé stessi in breve tempo e per uno scopo definito) io sono pacato e fiducioso in questo senso, se non altro.
Da qui il dilemma per i medici compassionevoli: visto che l’atteggiamento ha un’importanza critica, una prognosi tanto cupa dovrebbe essere annunciata, soprattutto quando poche persone hanno una comprensione sufficiente della statistica per valutare il significato reale dei risultati? Grazie ad anni di esperienza e allo studio quantitativo sull’evoluzione in scala ridotta delle chiocciole delle Bahamas, io ho sviluppato questa conoscenza tecnica – e sono convinto che abbia giocato un ruolo cruciale nel salvarmi la vita. La conoscenza è potere, proprio come diceva Bacone.
Il problema si può riassumere così: che cosa significa “mortalità mediana di otto mesi” nel nostro linguaggio? Sospetto che la maggioranza delle persone, senza una formazione statistica, leggerebbero questa affermazione come: “Probabilmente sarò morto tra otto mesi” – conclusione da evitare, dato che non è così, e considerato che l’approccio positivo ha tanta importanza.
Io di certo non ero felicissimo, ma non ho neppure interpretato questo dato in modo così semplicistico. La mia formazione tecnica ha proposto una visione diversa di “otto mesi di mortalità mediana”. È una differenza sottile, ma profonda - in quanto incarna il pensiero tipico del mio campo, la biologia evolutiva e la storia naturale.
Ancora oggi siamo appesantiti dal bagaglio storico di un retaggio platonico che ricerca l’essenza precisa e definizioni chiare (per questo motivo speriamo di trovare un “principio della vita” univoco o la “definizione della morte”, per quanto la natura ci appaia come un flusso irriducibile). Questa tradizione platonica, con la sua enfasi nelle distinzioni nette e le sue entità immutabili ben separate, ci porta a vedere le misurazioni statistiche della tendenza centrale nel modo sbagliato, in effetti opposto all’interpretazione corretta per il mondo reale di variazioni e sfumature. In breve, vediamo medie aritmetiche e mediane come “realtà” immutabili, e le varianze che permettono il loro calcolo come un insieme di misure imperfette e transitorie di questa essenza nascosta. Se la mediana è la realtà e la variazione intorno alla mediana solo uno strumento per stimarla, allora l’interpretazione “Probabilmente sarò morto tra otto mesi” può essere ragionevole.
Ma tutti i biologi evoluzionisti sanno che la variazione di per sé costituisce l’unica essenza irriducibile della natura. Le varianze sono la realtà, non un insieme di misure imperfette della tendenza centrale. Medie aritmetiche e mediane sono le astrazioni. Pertanto, io ho guardato alle statistiche del mesotelioma in modo diverso – e non solo perché sono un ottimista che tende a vedere il bicchiere mezzo pieno, ma innanzitutto perché so che la variabilità stessa è reale. Dovevo inserirmi tra le variazioni.
Quando ho saputo della mediana di otto mesi, la mia prima reazione mentale è stata: bene, metà delle persone vivranno più a lungo; ora, che probabilità ho di essere tra queste? Dopo aver letto con furia e nervosismo per un’ora, conclusi: dannatamente buone. Possedevo ciascuna delle caratteristiche che indicavano una probabilità di sopravvivenza maggiore: ero giovane, la mia patologia era stata diagnosticata a uno stadio piuttosto precoce, avrei ricevuto i trattamenti medici migliori, avevo molte ragioni per cui vivere, sapevo come interpretare i dati nel modo corretto senza disperarmi.
Un altro aspetto tecnico aggiunse ancora più sollievo. Compresi subito che la distribuzione della variabilità attorno alla mediana di otto mesi era quasi sicuramente del tipo che gli statisti chiamano “asimmetrica a destra” (in una distribuzione simmetrica, il profilo di varianza a sinistra della tendenza centrale è un’immagine speculare della varianza a destra). La distribuzione delle varianze doveva essere per forza spostata verso destra, ragionai. Del resto, la porzione sinistra della distribuzione contiene in modo irrevocabile il livello zero, dato che il mesotelioma può essere identificato solo in caso di morte o prima. Di conseguenza non vi è molto spazio per la distribuzione della metà inferiore (sinistra) – deve essere compressa tra zero e otto mesi. Al contrario la metà superiore alla mediana (destra) può estendersi per anni e anni, anche se nessuno campa in eterno. La distribuzione era di certo spostata a destra e io dovevo sapere quanto si estendeva la coda dei valori – avevo già concluso che il mio profilo favorevole mi rendeva un buon candidato per quella porzione di curva.
La distribuzione era in effetti fortemente asimmetrica a destra, con una lunga coda (comunque ridotta) che si estendeva per diversi anni oltre la mediana di otto mesi. Non vidi alcun motivo per cui non avrei dovuto rientrare in quella piccola coda e tirai un lungo sospiro di sollievo. La mia conoscenza tecnica mi aveva aiutato. Avevo interpretato il grafico in modo corretto, mi ero posto le domande giuste e trovato le risposte. Avevo ottenuto, con ogni probabilità, il più prezioso di tutti i doni possibili date le circostanze – un significativo lasso di tempo. Non dovevo fermarmi e seguire subito il precetto di Isaia a Ezechia – da’ disposizioni per la tua casa, perché tu morirai e non vivrai. Avrei avuto tempo per pensare, fare piani e combattere.
Un’ultima considerazione riguardo alle distribuzioni statistiche. Esse si applicano solo a determinati insiemi di circostanze – in questo caso la sopravvivenza al mesotelioma sottoposto a trattamenti convenzionali. Se le circostanze cambiano, la distribuzione può alterarsi. Sono stato inserito in un protocollo sperimentale e, se la fortuna mi assiste, sarò nel primo gruppo di una nuova distribuzione con una mediana più alta e una coda di varianza a destra che si estende fino alla morte per cause naturali, in età avanzata*.
Secondo la mia visione, è diventato un po’ troppo di moda considerare l’accettazione della morte come equivalente a un atto di dignità intrinseca. Di certo concordo con la morale ecclesiastica che ci sia un tempo per amare e un tempo per morire – e quando il mio tempo sarà esaurito spero di affrontare la fine in pace e a modo mio. Nella maggioranza delle situazioni, però, preferisco l’approccio combattivo per cui la morte è il nemico supremo – e trovo che non siano da biasimare coloro che reagiscono con veemenza di fronte alla speranza che si affievolisce.
Le armi della battaglia sono numerose e nessuna è più efficace dell’umorismo. La mia morte è stata annunciata durante una riunione con i miei colleghi in Scozia, e ho quasi avuto il piacere di leggere il mio necrologio scritto da uno dei miei migliori amici (il simpaticone si è insospettito e ha controllato; anche lui è uno statista e non si aspettava di trovarmi piazzato così avanti nella coda verso destra). In ogni caso, l’inconveniente mi ha procurato la prima autentica risata dopo la diagnosi. Pensandoci bene, ho quasi avuto modo di ripetere il più famoso aforisma di Mark Twain: gli annunci della mia morte sono molto esagerati.**
*Fin qui tutto bene.
**Da quanto ho scritto questo pezzo, la mia morte è stata annunciata su due riviste europee, a cinque anni di distanza. Le notizie volano (e restano in circolazione a lungo). Ho sbraitato sonoramente entrambe le volte e ho preteso una smentita; a quanto pare, la classe dignitosa del Signor Twain non mi si addice proprio.
English to Italian: Il significato delle muffole: cinque possibilità General field: Other Detailed field: Journalism
Source text - English The Meaning of the Mittens: Five Possibilities
The symbolic power of Bernie’s old pair of mittens was the work of the “us” in “not me, us.”
Naomi Klein, The Intercept, January 22, 2021.
ORIGINAL AVAILABLE FOR PUBLIC READING HERE:
https://theintercept.com/2021/01/21/inauguration-bernie-sanders-mittens/
Translation - Italian Il significato delle muffole: cinque possibilità
Il potere simbolico del vecchio paio di muffole di Bernie ha incarnato la collettività popolare americana, l’essenza dello slogan elettorale “not me, us” ovvero “non io, noi”.
Che peccato per scenografi, stilisti e direttori artistici. Tanto impegno, buongusto, progetti e denaro investiti per pianificare la semiotica dell’insediamento di Joe Biden: la precisa sfumatura di royal blue indossata da Kamala Harris (beccati questa Vogue, tu e la tua copertina sciatta!), la selezione di marchi indipendenti made-in-New-York per vestire Jill Biden in tonalità blu oceano (così si sostengono le piccole attività durante la pandemia!), il valore mediatico della colomba dorata come spilla di Lady Gaga (il tocco alla “Hunger Games”!).
Eppure è stato tutto inutile. Perché in un mare di mascherine squisitamente abbinate, le vecchie e logore muffole di Bernie Sanders hanno offuscato tutto il resto per diventare all’istante il più discusso, accattivante e anomalo messaggio visivo dell’evento storico. Che cosa dovremmo pensare? Perché in milioni si sono sintonizzati su qualsiasi linguaggio le muffole stessero parlando? È stato il delirio da pandemia – ciascuno che rispecchia il proprio isolamento sociale nella persona più isolata tra la folla? Sono stati sessismo e razzismo, mentre il prototipo del maschio bianco e rispettabile fallisce di nuovo nel riconoscere i messaggi sovversivi impliciti nelle scelte di stile di donne che lottano per l’emancipazione? È stato, come mi ha scritto un amico poco fa, “l’inconfessabile desiderio collettivo che Bernie diventasse il nostro presidente”?
Qual è il significato, la muffologia dietro al fenomeno?
Come molto altro che riguarda la nuova amministrazione, è troppo presto per dirlo. Seguono cinque interpretazioni possibili.
1. Muffole come giudizio di riserva
Gran parte dell’attenzione dei media si è concentrata sulle muffole in sé: la controtendenza stile sci di fondo anni ’70. L’essenza artigianale in un mondo di produzioni di massa. La banale casualità e l’evidenza che Bernie non abbia dedicato un singolo neurone per valutare se indossarle, oltre alla considerazione: “Fa freddo. Queste tengono caldo”.
Altrettanto importante, però, è la postura esibita indossando le muffole: incurvata, le braccia conserte, l’isolamento fisico dalla folla. Il risultato non è quello di una persona esclusa da una festa, ma piuttosto, siamo onesti, di qualcuno a cui non interessa farne parte.
Durante un evento che è stato soprattutto una dimostrazione di unità tra partiti, le muffole di Bernie hanno presenziato per tutti coloro che non sono mai stati inclusi nel consenso ben costruito della classe dirigente.
Non è stato un boicottaggio dell’occasione in sé; nessuno voleva cacciare Trump più di Bernie. Ma un’espressione di inequivocabile riserva nel giudizio sul prossimo futuro. In quelle braccia incrociate le muffole dichiaravano: “Prima vediamo cosa farai davvero e poi potremo parlare di unità”.
2. Muffole come avvertimento
Ma c’era ben altro. Se si osserva con attenzione, c’era anche un lanoso avvertimento. Il mondo è impazzito per la postura imbronciata di Bernie durante l’insediamento perché stava alimentando la speranza che ci sia ancora un’opposizione morale all’accentramento di potere e denaro negli Stati Uniti – in un tempo in cui ce n’è più bisogno.
In quel momento, le braccia incrociate di Bernie e la dissonanza sartoriale sembravano dire: “Non mescolateci”. Se dopo tanto clamore l’amministrazione Biden-Harris non attuerà politiche di trasformazione per una nazione e un pianeta in agonia, ci saranno conseguenze. E a differenza dell’era Obama, quelle conseguenze non richiederanno anni – perché lo spirito rivoluzionario è già stato risvegliato, e indossa le muffole.
3. Muffole come moralità dei liberali
Le muffole di Bernie sono state un chiodo fisso non solo tra i sostenitori del senatore, coloro che speravano davvero di vedere quel palmo di lana grezza poggiarsi sulla Bibbia all’inizio della settimana. Hanno raccolto un consenso sorprendente anche tra i liberali – molti degli stessi liberali che hanno trascorso le primarie deridendo pubblicamente la prospettiva di un Presidente Sanders (così chiassoso, così pungente, così arrabbiato). Eppure eccoli a inoltrare meme di muffole e a condividere storie suggestive di come i guanti siano stati realizzati a mano da un’insegnante (tradizionale!) o di quella volta in cui Bernie li prestò a un operatore sanitario infreddolito (una storia che riscalda… Per davvero!).
Che è successo? Perché il pericoloso socialista Bernie è diventato d’un tratto l’adorabile nonno di quartiere? Da un lato, è presto detto: anche in veste di presidente della Commissione di bilancio del Senato, Sanders rappresenta una minaccia minore di quando era un candidato presidenziale che cavalcava la promessa di ridistribuire le ricchezze e eliminare i profitti legati alla sanità. Da un’altra prospettiva, per la dirigenza del Partito Democratico è facile apprezzare Bernie quando dispensa muffole fatte a mano – fin tanto che tiene le manacce lontano dai miliardi dei finanziatori.
Per certi versi, è anche utile tollerare l’esistenza di una corrente trasandata nel partito, proprio perché la leadership si discosta decisamente dalla base elettorale costituita dai lavoratori. In tale contesto, sostenere pubblicamente Bernie allo scadere del processo elettorale gioca un ruolo simile alle esibizioni pseudo-populiste sfoggiate durante la corsa alle primarie, come mostrarsi apertamente a mangiare patatine fritte o con addosso abiti da cittadini comuni.
Il che ci porta ad un significato correlato delle muffole:
4. Muffole come reputazione
Nell’immaginario dei media liberali, la settimana dell’insediamento ha segnato un vertiginoso ritorno all’era Obama, in cui la famiglia presidenziale è stata investita del ruolo di celebrità progressista. La cyclette Peloton di Biden è sicura? Chi ha vestito Jill Biden? La sorella di Kamala Harris ha una linea di felpe femministe, l’hai vista? Questo filone mediatico riguardo lo stile di vita dei politici si era per lo più assopito durante l’era Trump. Certo, la Casa Bianca era gremita di persone ricche e snelle con costumi e abitudini costose e invidiabili. Ma erano proto-fascisti e truffatori spudorati, per cui soffermarsi troppo sulle numerose mantelle di Melania o i gioielli di Ivanka era di cattivo gusto.
Ora è tutto finito. Eppure il fastidioso risvolto pubblico rimane. Ci si trova, dopotutto, nel mezzo di una pandemia globale e di una crescente carestia – anche se gli ultraricchi hanno ampiamente aumentato il loro benessere durante il periodo di strage di massa. Qui entrano in gioco le muffole. Nelle alte sfere del Partito Democratico è risultato chiaro che per crogiolarsi nell’affascinante ritorno alla “normalità” neoliberale deve esserci qualche richiamo alla realtà. Il fatto che Bernie fosse presente, con addosso il cappotto, le muffole e la mascherina, è stato subito colto come quel richiamo.
Ma non si deve cadere nell’inganno, perché c’è un altro, ben più importante significato dietro alle muffole.
5. Muffole come ostentazione
Alcune muffole sono semplici muffole. Ma altre muffole sono meme, sovraccariche di un simbolismo che sembra esplodere non appena fanno la loro comparsa. Prima che Gaga avesse cantato l’inno nazionale e prima che Biden avesse detto “unità” nove volte e “unione” altre tre volte, le muffole di Bernie spopolavano già in rete. In poche ore il senatore era stato sovrapposto a centinaia di immagini iconiche, inserito in filmati, segnando una tendenza ovunque fosse possibile.
È fondamentale capire che questo non ha avuto nulla a che vedere con qualche azione di Bernie – oltre all’essere Bernie di per sé. Proprio come nella sua campagna storica alle elezioni primarie del 2020, il potere simbolico delle muffole ha incarnato la collettività popolare americana, l’essenza dello slogan elettorale “not me, us” ovvero “non io, noi”: è un socialismo decentrato che rappresenta centinaia di organizzazioni popolari e dieci milioni di elettori, che si batte per principi sostenuti dalla maggioranza degli elettori democratici, a detta di molti sondaggi, ma che viene respinto dalla dirigenza dello stesso Partito Democratico. Un socialismo che punta, tra le varie, alla sanità pubblica, un nuovo Green Deal, la cancellazione dei debiti di studio, l’università gratuita, una tassa sul patrimonio.
Nel grande giorno di Biden, il movimento che rappresenta quelle politiche e quei valori ha estrapolato un significato globale da un paio di vecchie muffole. Lo ha fatto perché poteva. È stata una bonaria e innocente ostentazione con un sottinteso tutt’altro che innocente. Siamo ancora qui, diceva. Ignorateci e, la prossima volta, non ce ne staremo seduti tranquilli.
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