This site uses cookies.
Some of these cookies are essential to the operation of the site,
while others help to improve your experience by providing insights into how the site is being used.
For more information, please see the ProZ.com privacy policy.
Jul 7, 2020 (posted viaProZ.com): Last week I translated 4 pages of a company's website (roughly 1500 words) all about marble and travertine. Rather technical but interesting too!...more, + 1 other entry »
Freelance translator and/or interpreter, Verified site user
Data security
This person has a SecurePRO™ card. Because this person is not a ProZ.com Plus subscriber, to view his or her SecurePRO™ card you must be a ProZ.com Business member or Plus subscriber.
Affiliations
This person is not affiliated with any business or Blue Board record at ProZ.com.
Services
Translation, Editing/proofreading
Expertise
Specializes in:
Music
Nutrition
Medical: Health Care
Medical: Pharmaceuticals
Cooking / Culinary
Food & Drink
Medical (general)
Volunteer / Pro-bono work
Open to considering volunteer work for registered non-profit organizations
Rates
Portfolio
Sample translations submitted: 1
Italian to English: Italian-English translation of 'Frozen pizza' article from La Repubblica. General field: Other Detailed field: Food & Drink
Source text - Italian Ecco come nasce la pizza surgelata che vuole competere con quella delle pizzeria
Reportage nello stabilimento di 'A Pizza, il progetto di Maurizio Ramirez e Guido Freda: passo dopo passo tutto il processo produttivo. E i suoi sorprendenti risultati. Seguici anche su Facebook
“Amiamo chiamarci i pazzi di ‘a pizza”. Questa frase, se non seguite assiduamente su Facebook o online i siti di settore potrebbe dirvi poco: identifica il progetto di due imprenditori partenopei, Maurizio Ramirez e Guido Freda, che hanno da poco messo sul mercato una pizza surgelata. ‘A pizza, appunto, è una delle pietre dello scandalo nella Napoli degli ultimi tempi, causa di numerose polemiche, guardata con diffidenza dai moltissimi secondo cui un prodotto surgelato non può essere paragonabile a un impasto appena sfornato. Per rispondere ai dubbi degli scettici e dei curiosi abbiamo visitato lo stabilimento di Napoli, “che resterà unico anche se dovessimo – come speriamo - crescere ancora. La nostra pizza deve essere assolutamente Made in Naples”, come sottolinea Ramirez.
L’impianto è formato da più stanze, il primo passaggio che siamo chiamati ad affrontare è quello della vestizione a garanzia del mantenimento dell’igiene. Durante tutto il nostro percorso rimarrà ben chiara la forte attenzione alle norme sanitarie da parte dei proprietari dell’impianto (che gestiscono personalmente, ndr). Il “pizzificio”, come amano chiamarlo, vede una prima stanza in cui vengono presentati i prodotti da cui è composta il prodotto in questione, e qui arriva la prima sorpresa: la farina non è industriale, ma è una 00 del Mulino Caputo, la stessa usata da moltissimi pizzaioli rinomati di Napoli e provincia; allo stesso modo i latticini, provenienti dall'azienda Orchidea di Sant’Anastasia, vengono comprati nel formato per il consumo familiare. Bocconcini, provola, fiordilatte di Agerola.
Se non fosse per le basse temperature che si percepiscono nella struttura, guardando il tavolo degli ingredienti si potrebbe pensare di essere a tutti gli effetti nella zona forno di una pizzeria. Il discorso non cambia se si passa nella zona impasti: una grande stanza con impastatrici industriali e il tavolo per lo staglio. Qui il capo è Nino, il mastro pizzaiolo che accompagna Maurizio Ramirez in questo progetto da tre anni, fin da quando cioè hanno cominciato con le sperimentazioni sui vari tipi di congelamento e sulle interazioni fra le basse temperature e l'impasto.
Il risultato è un impasto regolamentare, conforme al disciplinare STG, che prevede un 30% di lievito madre - detto anche criscito - e per il resto solo acqua, farina e sale. Presto alla sua "insostituibile 00", verranno affiancate una farina biologica e quella per impasto senza glutine; quest'ultimo settore prevede "un ampliamento della struttura che raddoppierà il suo volume - tiene a sottolineare Ramirez - con una fabbrica gemella per le pizze per celiaci, in modo che non possano essere contaminate". E, così come in una pizzeria tradizionale i menu cambiano con il turnare delle stagioni, lo stesso avverrà nel catalogo di 'a pizza: in primavera arriveranno nuove ricette "dai nomi sempre più fantasiosi", tra cui "quella con pomodoro del piennolo e bufala DOP, a cui teniamo molto".
Fin qui tutto normale. Il cuore del progetto, e del problema secondo alcuni, è nella terza stanza, quella dedicata alla refrigerazione. Un'enorme stanza con al centro un abbattitore industriale, al cui capo troviamo un forno, esattamente di fronte al punto in cui sorgerà fra qualche meso quello per il gluten free. Anche qui si può essere vittima di uno straniamento: le pareti sono bianco lucido, l'aria è asettica ed è apparentemente quanto di più lontano possibile da ciò che per l'immaginario collettivo è una pizzeria, cioè calda e accogliente. In tutto questo però un angolo verace c'è, ed è quello indispensabile: il bancone del pizzaiolo è in marmo.
Da quest'ultimo al forno, poi all'abbattitore: non c'è soluzione di continuità in questi passaggi ed è proprio quando i dischi bollenti arrivano sui rulli ghiacciati che arrivano i primi "fastidi ideologici". Il macchinario sembra aspirare le margherite che dopo circa 10 minuti, reduci da un viaggio a -46,9 gradi (temperatura presente effettivamente al momento della visita, ndr), escono dall'altra parte "addormentate", come spesso ripete Guido Freda che, alla questione del "mettere a dormire le pizze per poi risvegliarle in forno", crede profondamente. Il risveglio avverrà nel forno di casa, rigorosamente alla temperatura di 180° come riportato sulle bag con cui arrivano gli ordini. Questo è uno dei primi punti a svantaggio degli imprenditori partenopei e del loro prodotto: con un forno non particolarmente performante o con temperature sbagliate, l'effetto " pizza cotta a casa come in pizzeria" viene a perdersi e il risultato finale sarà quello di un disco " un po' troppo croccante", per ammissione stessa degli imprenditori.
In bilico fra sorpresa e scetticismo, si approda alla fase finale: l'assaggio. Avviene in due fasi, prima la margherita appena cotta e poi una primavera rinvenuta in un forno in dotazione alla fabbrica. L'impressione è che la margherita cotta per noi sia più grande di quella rinvenuta, e quindi della misura standard; è uno delle note "a sfavore" di questo prodotto che, seppur si proponga "come prodotto prettamente domestico, come l'alternativa al pizzaiolo da asporto sotto casa", risulta come ristretta rispetto alla misurazione standard, più simile al formato che siamo abituati a vedere al supermercato. Un piccolo controsenso. Al confronto le pizze hanno effettivamente poche differenze, se non una minore "fluidità" dell'impasto rinvenuto rispetto a quello che non ha affrontato l'abbattimento, cosa che può diventare un vulnus se si fa sostare la pizza in forno "più tempo di quanto previsto dalle istruzioni". La sorpresa finale arriva all'assaggio della pizza primavera: il pomodorino mantiene il suo sapore e soprattutto si può percepire l'olio con temperatura e sapore assolutamente inalterati.
"Vogliamo che la nostra pizza sia vista per quello che è, non è un prodotto da supermercato, ma il frutto di una lunga ricerca e di una grande passione", sottolineano più volte i due imprenditori, "diversa dalle altre come ogni pizza è diversa da un'altra". Per chi della pizza ne fa una religione, è difficile paragonare questo impasto e questo prodotto a quello dei grandi maestri pizzaioli, impossibile però non riconoscere l'innegabile artigianalità del prodotto di partenza e la dignitosa, e anche gustosa, resa del prodotto finale.
Translation - English Say hello to the frozen pizza which is competing with pizza made at a pizzeria.
A reportage from Maurizio Ramirez and Guido Freda’s “A Pizza” factory: a walk through the production process and the surprising results. Follow us on Facebook.
“We love to call ourselves the madmen behind “a pizza” (Neapolitan dialect). This motto might not mean much to you if you don’t follow regularly the industry’s websites on Facebook or online; it refers to the business venture of two entrepreneurs from Naples, Maurizio Ramirez and Guido Freda, who have recently put a frozen pizza on the market”. “A Pizza” is indeed a focus of scandal in Napoli in recent years, looked upon with diffidence by many who think that frozen food cannot be compared to a freshly cooked meal. To respond to the doubts of the sceptics and the curious we visited the factory at Naples, “which will remain the only one even if we do hopefully thrive even more. Our pizza must be strictly Made in Naples”, as emphasised by Ramirez.
The facility is made up of several rooms; the first thing we were told to do was to dress ourselves according to the hygiene regulations. During the course of our visit, the considerable attention of the factory owners to health standards, (which they manage personally Ed.) became apparent. The ‘pizzificio’ (the factory essentially), as they love to call it, is comprised of one room where the ingredients of the food in question are on display. The first surprise: the flour isn’t industrial, rather it is ‘Mulino Caputo’ flour (a very fine 00 flour) the same one used by many pizza makers from Naples and its suburbs. Similarly, dairy products coming from the Latticini Orchidea cheese factory: nibbles, Provola cheese (“a fresh stringy cheese”) and Fiordilatte cheese (“a fresh pulled-curd cheese”) from Agerola are bought in bulk for family consumption.
If it wasn’t for the cold temperatures that we felt in the building, looking at the table of ingredients we might think we were experiencing all the things associated with the pizza oven area in a pizzeria. The same can be said if we step into the dough area, a big room with industrial dough mixers and a table for the ‘staglio’ phase (making the dough balls). Here, the master pizza maker Nino is in charge, who has accompanied Maurizio Ramirez on this project for 3 years, ever since they started testing various degrees of freezing and the effects low temperatures have on the dough.
“The resulting dough, which conforms to STG standards”, is made up of 30% “natural yeast” known also “as sourdough starter – water, flour and salt”. Along with the irreplaceable “00” flour, “they will soon be offering organic and gluten free versions”. The latter demands “an extension to the building that will double in size with a twin factory for celiacs so that the pizzas cannot be contaminated”. Just like how in a traditional pizza restaurant the menu changes according to the season so too does the “A Pizza” menu change. In spring, new recipes will arrive “with increasingly creative names, such as the one with ‘Piennolo cherry vine tomatoes’ and DOP buffalo mozzarella, which we really love”
Up to now everything has been acceptable. The heart of the project and problem according to a few is in the third room: the one dedicated to refrigeration. This is an enormous room with an industrial freezer at its centre, at the end of which we find an oven, opposite to where the gluten-free one will be in a few months’ time. Here we might also feel alienated: the walls are bright white, the air is sterilized and it is seemingly as far from what we’d imagine a pizzeria to be, that is, warm and welcoming. In all of this however, there is a traditional spot, and it is an essential one: the pizza counter is made out of marble.
From the latter to the oven, then to the freezer, there is no sense of continuity in this tour and it is only when the piping hot pizza bases go on the ice-cold rollers that the first “ideological complaints” emerge. The machine seems to suck up the margherita pizzas only after about 10 minutes and freezes them at -46.9℃ (the current temperature at the time of the visit, editor’s note). They come out the other end ‘asleep’, as is often said by Guido Freda who strongly believes in the matter of ‘putting the pizzas to sleep before re-awakening them in the oven’. The ‘reawakening’ will occur precisely at 180℃ in the oven as detailed on the bag which comes with the order. One of the main downfalls for the Neapolitan businessmen and their product is this: with a not particularly powerful oven or incorrect temperature the “pizzeria effect” might be lost and the final result will be a pizza with “too crunchy” a base, as admitted by the businessmen themselves.
Poised between surprise and scepticism, we arrived at the final stage: the tasting. This happens in two phases, first the freshly cooked margherita and then a primavera pizza made in an oven provided by the factory are tasted. The impression is that the margherita cooked by us is bigger than the defrosted one with its standard size. This is one of the ‘bad things about this product which, although intended as a strictly household product, the alternative to a pizzamaker’s homemade one’, it is restricted by its mediocre size which is more like what we are used to seeing in the supermarket. Quite the contrary. On the face of it they have very few differences despite a slight fluidity in the defrosted product where freezing hasn’t taken place: something which might become a hole if the pizza is left in the oven “for longer than what is indicated in the instructions”. The final surprise comes with the tasting of the ‘pizza primavera’: the cherry tomatoes retain their flavour and you can particularly discern the temperature and taste of the oil which remain completely unchanged.
“We wish that our pizza was seen for what it is; not a supermarket product, but the result of extensive research and great passion” the two businessmen constantly stress, “different from the rest just like every pizza is different from another”. For those who worship pizza, it is difficult to compare this dough and this product with those of grand master pizzamakers. It is impossible to deny however the indisputable craftsmanship of the original product and the faithful and tasty yield of the end product.
French to English (University of Newcastle, verified) Italian to English (University of Newcastle, verified) French to English (University of Kent at Canterbury) Italian to English (University of Kent at Canterbury)
Get help on technical issues / improve my technical skills
Learn more about additional services I can provide my clients
Learn more about the business side of freelancing
Bio
Graduate translator able to translate from Italian to English and French to English, with 6 months experience of living in France, and 6 months experience of living in Italy. Having recently completed my MA in Professional Translation for European Languages (Italian, French, English), I aspire to become a medical translator.
During my MA I had the opportunity to translate a variety of text-types: Medical, Technical and Marketing texts included. I am also interested in translating Food & Drink style texts, having produced a 9000-word translation (Italian-English) of an Italian chef's cookbook for my MA.
I am now working as a secretary for a pathologist at Hull Royal Infirmary. My job is to type PM reports from a dictation machine. Having done the job for several months now I have become familiar with the type of terminology used. With this in mind, I aim to become a medical translator for Italian and French into English (UK). In recent months I have opted into the ITI Medical Translation Mentorship scheme. Here, I translate medical texts from Italian to English and receive feedback from a professional ITI medical translator.
Keywords: secretary for a pathologist, Italian to English, French to English, medical translation, pathology, MA Graduate, pharmaceuticals, online sites, PIL's