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Italian to French - Rates: 0.08 - 0.08 EUR per word French to Italian - Rates: 0.08 - 0.08 EUR per word English to Italian - Rates: 0.08 - 0.08 EUR per word Spanish to Italian - Rates: 0.08 - 0.08 EUR per word
Italian to French: Scheda Albergo- Fiche Hotel Detailed field: Tourism & Travel
Source text - Italian Descrizione generale
L'Hotel XXX, situato al centro di quella che i Romani chiamavano Roma Vecchia, è immerso in uno dei musei a cielo aperto più grandi d'Europa.
Questa meraviglia naturale formata dal parco dell'Appia Antica e dal Parco degli Acquedotti si trova vicino allo storico borgo delle Capannelle.
Trasformato in Hotel nel 2004, mantiene ancora inalterata l'atmosfera mistica della struttura originaria grazie a ristrutturazioni mirate che hanno saputo valorizzare la storicità del luogo.
L'intero complesso si articola su diverse costruzioni: le antiche scuderie dei primi del '900 disposte a ferro di cavallo ospitano le camere doppie e triple; la chiesa sconsacrata di Sant'Antonio dell'800, è stata recuperata e ristrutturata per ospitare la Hall, la sala colazioni, la sala congressi, 4 camere singole (al piano inferiore), e 2 Suite con la graziosa Club House (al piano superiore).
Meeting
La struttura dispone di una sala modulare disponibile in varie configurazioni a seconda delle esigenze, per una capienza massima di 50 persone con disposizione a platea.
Ubicazione
In auto
Autostrada Del Sole A1 Milano - Napoli e successivamente Grande Raccordo Anulare, uscita 23 - Appia, in direzione Roma Centro.
In treno
Dalla Stazione ferroviaria di Roma Termini (12 km) sono disponibili il servizio taxi, gli autobus di linea o la metropolitana Linea A fino alla fermata "Cinecittà".
In aereo
Dall'aeroporto Internazionale "Leonardo da Vinci" di Roma - Fiumicino (4 Km) è possibile prendere un taxi, noleggiare un'auto oppure servirsi dei mezzi pubblici. Prendendo il "Terravision Shuttle" si arriva alla Stazione di Termini; un'altra possibilità è il treno diretto "Leonardo Express" che in circa 20 minuti arriva fino alla Stazione Termini.
Dall'aeroporto Internazionale "Giovan Battista Pastine" di Roma - Ciampino (25 km) è possibile prendere un taxi, noleggiare un'auto oppure servirsi dei mezzi pubblici. Prendendo lo Shuttle bus si arriva in Via Marsala, adiacente alla Stazione Termini, da cui si può proseguire in taxi oppure con l'autobus.
Descrizione Camere
Le 31 camere suddivise in singole, doppie e triple, sono tutte dotate dei comfort più avanzati e hanno un ingresso indipendente che dà su un piccolo giardino privato.
L'arredamento, pensato per creare esperienze sensoriali particolari, predilige in alcune i toni caldi dell'arancio e del rosso, in altre quelli freddi del blu e dell'azzurro.
L'ospite può così scegliere i toni a lui più congeniali in una sorta di cromoterapia che consente il massimo appagamento nel relax e una profonda sensazione di benessere.
Le 2 Suite sono complete di TV color al plasma e vasca idromassaggio.
Translation - French Description générale
L'Hôtel XXX, situé au centre de ce que les Romains appelaient « le Vieux Rome », est au beau milieu d’un des plus grands musées à ciel ouvert d’Europe.
Cette merveille de la nature composée du parc de l'Appia Antica et du Parc des Aqueducs se trouve près du bourg historique des « Capannelle ».
Transformé en Hotel en 2004, il conserve encore intacte l’atmosphère mystique de la structure originale grâce à des restaurations ciblées qui ont su mettre en valeur l’histoire du lieu.
L'ensemble est articulé sur différentes constructions : les anciennes écuries du début du XXe siècle disposées en fer à cheval accueillent les chambres doubles et triples; l’église de Sant'Antonio du XIXe siècle, qui n’est plus en activité, a été récupérée et restaurée pour accueillir le Hall, la salle pour le petit déjeuner, la salle des congrès, 4 chambres simples (à l’étage inférieur), et 2 Suites avec le gracieux Club House (à l’étage supérieur).
Réunions
L'établissement dispose d’une salle modulable en différentes configurations selon les exigences, pour une capacité de 50 personnes maximum, disposée en forme de Théâtre.
Situation
En voiture
Autoroute “Del Sole A1 Milano – Napoli” ensuite “Grande Raccordo Anulare” (périphérique), sortie 23 - Appia, direction “Roma Centro”.
En train
Depuis la gare ferroviaire de Rome Termini (12 km) vous trouverez un service de taxis, d’autobus de ligne ou le métro Ligne A jusqu’à l’arrêt "Cinecittà".
En avion
Depuis l’aéroport international "Leonardo da Vinci" de Rome - Fiumicino (4 Km) vous pourrez prendre un taxi, louer une voiture ou prendre les transports en commun. La navette"Terravision" vous emmènera à la gare Termini; ou bien le train direct "Leonardo Express" qui arrive en 20 minutes environ jusqu’à la gare Termini.
Depuis l’aéroport international "Giovan Battista Pastine" de Rome - Ciampino (25 km) on peut prendre un taxi, louer une voiture ou utiliser les transports en commun. En prenant la navette on arrive à Via Marsala, adjacente à la gare Termini, d’où l’on peut continuer en taxi ou en autobus.
Description des chambres
Les 31 chambres réparties en simples, doubles et triples, sont toutes dotées du confort le plus avancé et ont une entrée indépendante qui donne sur un petit jardin privé.
La décoration a été pensée de manière à créer des expériences sensorielles particulières. On a donc préféré dans certaines chambres les tons chauds de l’orange et du rouge, dans d’autres les tons froids des bleus clairs et foncés.
L'hôte peut ainsi choisir les tons qui lui conviennent le mieux dans une sorte de chromothérapie qui favorise le maximum de la détente et une profonde sensation de bien-être.
Les 2 Suites sont pourvues de TV couleur au plasma et jacuzzis.
Italian to French: Katerina Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian Oggi lei non aprì gli occhi come al solito ma guardò. Guardò a lungo, senza far rumore e non pianse. Le sue pupille curiose mi svegliarono e rimanemmo minuti-ore ancorate, come due persone che si fanno domande senza usare parole. Ruppi io l’incantesimo. Irresistibile, il suo labbro attirò il mio dito e lo sfiorai. Con le manine lei lo prese e lo infilò in bocca, succhiandolo, ridiventata la neonata che era, inconsapevole.
Fuori tuonò un’altra bomba, lei sussultò ma io non più, una sola e poi pace. Da quando era nata non avevo più paura, ero pronta a morire ad ogni istante. Ma se lei fosse rimasta viva e io morta? Lei viva? Sì per sempre. Mentre la portavo dentro di me morire voleva dire morire per entrambe. Adesso, invece, lei poteva vivere anche se io morivo. Il latte mi scendeva dai seni ma lei non voleva mangiare, abboccava il capezzolo e poi lo risputava con bolle di saliva e risate. Mi graffiò con le unghiette, mi pizzicò le guance ma non mangiò e i miei seni, dolorosamente respinti, gocciolarono ancora. Misi un asciugamano sul ventre, leccai le dita per non alzarmi, il latte era dolce. Il letto era disfatto, i due materassi, cuciti insieme, si stavano separando, mi mossi per stare più comoda, per guardarla. Anche attraverso le palpebre chiuse la vedevo distintamente. Quel legame non sarebbe durato per molto e mi ci immersi, me ne abbeverai proprio come lei di me.
Oggi la bimba non piangeva e io non sapevo cosa fare. Potevo soltanto calmarla, cullarla e darle il latte. Non volevo esistere per altro. Scossi le coperte e lisciai le lenzuola. Avrei voluto lavarle ma non si poteva sprecare l’acqua.
Josef tornò, mi mise la mano sulla testa. Quando entrò, ero rimasta seduta sulla poltrona a fissare il muro. Vedevo sulla calce il riflesso del suo viso aperto, delle sue braccia allegre, di noi due un tempo abbracciati. Dall’alto, mi lasciò cadere una bustina sulle ginocchia. Era un pannolino Pampers, uno solo. Ridemmo, come due vecchi, scarniti e grigi, il pannolino tra le dita, facemmo tanto rumore con le nostre risa che la bimba si svegliò.
- Oggi non piange.
- Bene, sta imparando.
- Miriam! Guarda! Papà ti ha portato un pannolino.
Lo inchiodammo al muro, lì, sopra il suo lettino.
Io non avevo mai pensato di andare via, un’altra vita, dove?
- Possiamo andare via? sussurrai.
- È difficile.
- Perché? Conosci tanta gente...
- Quando si deve fuggire non si conosce più nessuno.
Josef non tornò quella notte, il coprifuoco era scattato già da due ore. Non era la prima volta che non tornava, ma oggi pensavo fosse morto. Che adesso ero sola, che era più facile fuggire in due, senza di lui. Lui era sempre pronto a rispondere, ad essere arrogante, a reperire il pericolo. Io potevo invece abbassare la testa, tacere, rispondere con poche parole...
Quando entrarono aprii le gambe subito ed aspettai che avessero finito. Erano in tre soltanto, finirono presto. Uno di loro mi diede un panino, il primo mi picchiò il viso e pisciò sul panino ed io restai nuda, senza coprirmi, senza guardarlo. Non avevo sentito niente, non importava, non ero vergine. Niente che non andasse via con acqua e sapone, avrebbero potuto rompermi ma non lo avevano fatto. Ero giovane, il mio corpo poteva ancora vederne altri, per quei tre in più che si erano intrufolati non c’era bisogno di fare tante storie. Senza Josef avrei potuto arrivare fino alla frontiera, da lì...
Adesso Miriam piangeva, finalmente potevo riprendere a consolarla. Mi vuotò entrambi i seni e si riaddormentò. Fuori c’erano dei passi. Il ventre contratto mi immobilizzai sul letto. Potevano entrare, niente li avrebbe fermati, erano tornati per finire il lavoro. E se lei fosse morta prima e io no? Non mi avvicinai al lettino, non volevo salutarla per l’ultima volta, doveva morire come se niente fosse, come se fosse normale che la sua vita finisse qui, così. Adesso già non era più in me, poteva morire come una persona. Aveva già visto il mondo, ora poteva anche lei morire. Io non c’entravo più.
- Josef sei tu... amore mio.
Il mio fiato si spense sul suo collo.
- Possiamo provare.
- A fuggire?
- Sì.
- Non voglio più, ti prego.
Le bombe esplosero fino all’alba. Tutto era normale. Mi misi a scolpire fiori sul capezzale in legno del letto, con un chiodo. Il chiodo si piegò troppo facilmente. Neanche i chiodi sappiamo fare. Lo dissi a Miriam.
- Neanche i chiodi Miriam, chio-di, chio-di.
Quasi sicuramente non sarei rimasta incinta dopo quegl’uomini, avevo partorito da poco ed allattavo, mi misi a canticchiare perché ero felice.
Josef mi portò un gattino e io lo buttai via. Quando tornò mi chiese di lui ma io non gli risposi e lui si rivolse a Miriam.
- Hai visto il gattino che papa ti ha portato, è un orfanello, papa lo ha portato alla sua bambina.
Io non volevo un orfanello per Miriam. Ci guardammo e non mi portò più animali vivi, solo galline, ma già morte perché credeva che non le avrei potuto sgozzare. Un giorno Sofia me ne portò una, viva, Josef non c’era. Io le tagliai il collo con il coltellino di cucina e la guardai dibattersi e morire sotto il caldo della mia mano. Miriam pianse tanto perché la gallina strillava ma non ci feci caso. Non ne dissi niente a Josef perché non volevo che lui sapesse che adesso io potevo sgozzare le galline da sola.
Quel giorno ridemmo tanto perché a Josef avevano venduto terra dentro un sacchetto di caffè sotto vuoto. Ridemmo e io feci un caffè con la terra e Josef ne bevve un sorso, con lo zucchero. Lo zucchero era vero ma non l’aveva comprato dalla stessa persona. Prima, i ritmi erano più veloci, il corso della giornata defluiva e io con la fronte corrugata e il corpo affaccendato ne seguivo il passo scandito da tutte le cose da fare. Adesso, con le bombe c’era il tempo di vedere passare il tempo. A volte non c’era proprio nient’altro da fare. A me piaceva ridere così fino a non farcela più, fino a sentire i polmoni premere contro le costole e mancare l’aria. Le lacrime scendevano dagli occhi ed il naso gocciolava, eravamo rossi, con la bocca aperta e i denti si vedevano fino in fondo. Poi pian piano ci calmavamo, ci abbracciavamo, era meglio a volte che fare l’amore, eravamo uno solo, senza fiato, avvinghiati l’uno a l’altra, dolenti ed ilari. Bastava poco, se non ci lasciavamo sfuggire l’attimo, si poteva rincominciare a ridere a volontà. E ancora qualche giorno dopo, anche da sola, ci ripensavo, ridevo, e guardavo il muro.
Non avevo più libri e allora allattai Miriam molto più di prima. A lei piaceva stare in braccio e ci osservavamo avidamente. Non le parlavo perché non sapevo cosa dirle. I nostri silenzi non erano veri silenzi, erano delle nicchie protette dove solo lei ed io potevamo respirare. Non ci sarebbe stata aria sufficiente per un’altra persona. Io e lei, chiuse e buie, eravamo tutte e due nel mio utero e ci toccavamo le dita, le dieci dita mie contro le dieci minuscole dita sue, strette e con le gambe ripiegate, l’una contro l’altra. Vedevo intorno a me i capelli galleggiare nella viscosità, ondeggiavo per imprimere il movimento. Affascinata, Miriam alzava la testolina e seguiva anche lei l’onda serpentina. Ridevamo anche noi, c’era molto tempo per giocare, un tempo infinito, tanto infinito che non ci potevamo neanche immaginare che potesse avere una fine, lei perché non conosceva il tempo ed io perché ero con lei, ridevamo con le bocche protette da una membrana, ridevamo in silenzio.
Il ragazzo stava lì, davanti al letto con occhi esterrefatti. Mi disse di dargli qualcosa di valore se no mi avrebbe fatto del male. Io gli risposi che avevo già venduto tutto e lui puntò il portaritratti argentato. Subito tolsi la foto di Miriam e gli allungai l’oggetto. Lo lasciai avvicinarsi alla bimba ma quando in fine gli toccai la manica, lui si voltò e, con le spalle curve, cominciò a raccontarmi di sua madre, di sua sorella, del padre, di un cane che abbaiava senza tregua, ma io gli misi la mano sulla bocca.
Translation - French Aujourd’hui elle n’ouvrit pas les yeux comme d’habitude mais elle regarda. Elle regarda pendant longtemps, sans faire de bruit et elle ne pleura pas. Ses pupilles curieuses me réveillèrent et nous restâmes plusieurs minutes-heures accrochées, comme deux personnes qui se posent des questions sans utiliser les mots. C’est moi qui rompis le charme. Sa lèvre, irrésistible, attira mon doigt et je l’effleurai. Elle le prit avec ses petites mains et le mis dans sa bouche, en le suçant, elle était redevenue le nouveau-né qu’elle était, inconsciente.
Dehors une autre bombe retentit, elle sursauta mais pas moi, une seule et puis c’est tout. Depuis qu’elle était née je n’avais plus peur, j’étais prête à mourir à chaque instant. Mais si elle restait en vie et moi je mourais? Elle vivante? Oui pour toujours. Quand je la portais en moi, mourir voulait dire mourir toutes les deux. Maintenant, par contre, elle pouvait vivre même si moi je mourais. Le lait descendait le long de mes seins mais elle ne voulait pas manger, elle mettait le téton dans sa bouche et elle le recrachait avec des bulles de salive et des rires. Elle me griffa avec ses petits ongles, elle me pinça les joues mais ne mangea pas et mes seins, douloureusement repoussés, coulèrent encore. Je mis une serviette sur mon ventre, je me léchais les doigts pour ne pas me lever, le lait était sucré. Le lit était défait, les deux matelas, cousus ensembles, se séparaient, je me déplaçai pour être plus à l’aise, pour la regarder. Même à travers les paupières closes je la voyais distinctement. Ce lien ne durerait pas longtemps et je m’y plongeais, je le buvais exactement comme elle avec moi.
Aujourd’hui la petite ne pleurait pas et moi je ne savais pas quoi faire. Je pouvais seulement la calmer, la bercer et lui donner le lait. Je ne voulais exister pour rien d’autre. Je secouai les couvertures et je lissai les draps. J’aurais voulu les laver mais on ne pouvait pas gâcher l’eau.
Joseph revint, il mit sa main sur ma tête. Quand il entra, j’étais assise sur le fauteuil en train de fixer le mur. Je voyais sur la chaux le reflet de son visage ouvert, de ses bras joyeux, de nous deux jadis enlacés D’en haut, il laissa tomber une petite enveloppe sur mes genoux. C’était une couche Pampers, une seule. Nous rîmes, comme deux petits vieux décharnés et gris, la couche entre les doigts, nous fîmes tellement de bruit avec nos rires que la petite se réveilla.
- Elle ne pleure pas aujourd’hui.
- Bien, elle apprend.
- Myriam! Regarde! Papa t’a apporté une couche.
Nous la clouâmes sur le mur, là, au dessus de son berceau.
Je n’avais jamais pensé à m'en aller, une autre vie, où ça?
- Nous pouvons nous en aller? Chuchotai-je.
- C’est difficile.
- Pourquoi? Tu connais beaucoup de gens…
- Quand on doit fuir on ne connait plus personne.
Joseph ne revint pas cette nuit là, le couvre-feu avait déjà commencé depuis deux heures. Ce n’était pas la première fois qu'il ne revenait pas, mais aujourd'hui je pensais qu'il était mort. Que maintenant j’étais seule, qu’il était plus facile de fuir à deux, sans lui. Lui, il était toujours prêt à répondre, à être arrogant, à repérer le danger. Moi je pouvais baisser la tête, répondre avec peu de mots...
Quand ils entrèrent j’ouvris tout de suite les jambes et j’attendis qu'ils eurent fini. Ils étaient seulement trois, ils finirent rapidement. Un d’eux me donna un sandwich, le premier me frappa au visage et pissa sur le sandwich et moi je restai nue, sans me couvrir, sans le regarder. Je n’avais rien senti, cela n’avait pas d’importance, je n’étais pas vierge. Rien qui ne pourrait s’enlever avec de l'eau et du savon, ils auraient pu me casser mais ils ne l'avaient pas fait. J’étais jeune, mon corps pouvait encore en voir d’autres, pour ces trois là en plus qui s’étaient faufilés ce n’était pas la peine de faire tant d’histoires. Sans Joseph j’aurais pu arriver jusqu’à la frontière, de là…
Maintenant Myriam pleurait, finalement je pouvais recommencer à la consoler. Elle me vida les deux seins et se rendormit. Dehors il y avait des pas. Le ventre contracté je m’immobilisai sur le lit. Ils pouvaient entrer, rien ne les arrêterait, ils étaient revenus pour finir le travail. Et si elle mourait avant et pas moi? Je ne m’approchai pas du berceau, je ne voulais pas la saluer pour la dernière fois, elle devait mourir comme si de rien n’était, comme s'il était normal que sa vie finisse ici, comme ça. Maintenant elle n’était déjà plus en moi, elle pouvait mourir comme une personne. Elle avait déjà vu le monde, maintenant elle aussi pouvait mourir. Moi je n’y étais plus pour rien.
- Joseph c’est toi…mon amour.
Mon souffle s’éteignit sur son cou.
- Nous pouvons essayer.
- De fuir?
- Oui.
- Je ne veux plus, je t’en prie.
Les bombes explosèrent jusqu’à l’aube. Tout était normal. Je me mis à sculpter des fleurs sur le dossier en bois du lit, avec un clou. Le clou se plia trop facilement. Même les clous on ne sait pas faire. Je le dis à Myriam.
- Même les clous Myriam, clou-ous, clou-ous.
Presque à coup sûr je n’étais pas resté enceinte après ces hommes, j’avais accouché depuis peu et j'allaitais, je me mis à chantonner parce que j'étais heureuse.
Joseph m’apporta un petit chat et moi je le jetai. Quand il revint il me demanda de ses nouvelles mais je ne lui répondis pas et il s’adressa à Myriam.
- Tu as vu le petit chat que papa t’a rapporté, c’est un orphelin, papa l’a apporté pour sa petite fille.
Moi je ne voulais pas d’un orphelin pour Myriam. Nous nous regardâmes et il ne m’apporta plus d’animaux vivants, juste des poules, mais déjà mortes parce qu’il croyait que je ne pourrais pas les égorger. Un jour Sofia m’en rapporta une, vivante, Joseph n’était pas là. Je lui coupai le cou avec le petit couteau de cuisine et je la regardai se débattre et mourir sous la chaleur de ma main. Myriam pleura beaucoup parce que la poule braillait mais je n’y fis pas attention. Je ne dis rien à Joseph parce que je ne voulais pas qu'il sache que maintenant je pouvais égorger les poules toute seule.
Ce jour là nous rîmes beaucoup parce qu’on avait vendu à Joseph de la terre dans un sachet à café sous vide. Nous rîmes et je fis du café avec la terre et Joseph en but une gorgée, avec du sucre. Le sucre était réel mais il ne l'avait pas acheté à la même personne. Avant, les rythmes étaient plus rapides, le cours de la journée s’écoulait et moi, le front plissé et le corps affairé j'en suivais le pas, rythmé par toutes les choses à faire. Maintenant, avec les bombes on avait le temps de voir passer le temps. Parfois il n’y avait vraiment rien d’autre à faire. Moi j’aimais rire comme ça jusqu’à ne plus en pouvoir, jusqu’à sentir mes poumons presser contre mes cotes et l’air me manquer. Les larmes descendaient de mes yeux et mon nez coulait, nous étions rouges, avec la bouche ouverte et on voyait nos dents jusqu’au fond. Et puis petit à petit nous nous calmions, nous nous enlacions, parfois c'était mieux que de faire l’amour, nous n'étions qu'un, sans souffle, accrochés l'un à l'autre, endoloris et hilares. Il suffisait de peu, si nous ne laissions pas passer l’instant, on pouvait recommencer à rire à volonté. Et encore quelques jours plus tard, même toute seule, j’y repensais, je riais et je regardais le mur.
Je n’avais plus de livres et alors j’allaitai Myriam beaucoup plus qu’avant. Elle aimait être dans mes bras et nous nous observions avec avidité. Je ne lui parlais pas parce que je ne savais pas quoi lui dire. Nos silences n’étaient pas des vrais silences, c’étaient des niches protégées où seules elle et moi nous pouvions respirer. Il n’y aurait pas eu assez d’air pour une autre personne. Elle et moi, fermées et sombres, nous étions toutes les deux dans mon utérus et nous nous touchions les doigts, mes dix doigts contre ses dix doigts minuscules, serrés et avec les jambes repliées, l’une contre l’autre. Je voyais autour de moi les cheveux flotter dans la viscosité, je me balançais pour imprimer le mouvement. Fascinée, Myriam levait sa petite tête et suivait elle aussi la vague serpentine. Nous riions nous aussi, nous avions beaucoup de temps pour jouer, un temps infini, tellement infini qu’on ne pouvait même pas imaginer qu’il pourrait avoir une fin, elle parce qu’elle ne connaissait pas le temps et moi parce que j’étais avec elle, nous riions avec nos bouches protégées par une membrane, nous riions en silence.
Le garçon restait là, devant le lit avec des yeux effarés. Il me dit de lui donner quelque chose de valeur sinon il m’aurait fait du mal. Je lui répondis que j’avais déjà tout vendu et il fixa le porte-photos argenté. Tout de suite j’enlevai la photo de Myriam et je lui tendis l’objet. Je le laissai s’approcher de la petite mais quand à la fin je touchai sa manche, il se retourna et, avec ses épaules voûtées, il commença à me parler de sa mère, de sa soeur, de son père, d'un chien qui aboyait sans cesse, mais je lui mis ma main sur la bouche.
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Experience
Years of experience: 25. Registered at ProZ.com: Sep 2008.
Je suis de langue maternelle française en possession d’une Maitrise en Langue et Civilisation Italienne obtenue à l’Université de Paris III Sorbonne-Nouvelle.
J’habite depuis 11 ans à Milan et suis bilingue français italien.
J’ai également une connaissance courante de l’anglais et de l’espagnol parlé, lu et écrit.
J’ai déjà effectué des traductions pour des agences italiennes dans des domaines tels que l’informatique, le tourisme, la cosmétique, contrats commerciaux …
Je souhaiterais collaborer avec votre agence pour des traductions dans les combinaisons suivantes:
Français/italien, italien/français, anglais/français, espagnol/français, anglais/italien, espagnol/italien.
Je suis à votre disposition pour vous fournir de plus amples informations.
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